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FOCUS: PASSI DI TANGO, NOTE DI VIOLINO E LEZIONI DI TEDESCO

FOCUS: PASSI DI TANGO, NOTE DI VIOLINO E LEZIONI DI TEDESCO

L'approfondimento di Mediagol.it nel day-after della sfida salvezza contro il Carpi.

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di  Leandro Ficarra

Si naviga a vista ma in acque più serene. Orizzonti meno foschi con vista sull’approdo. L’ostacolo Carpi poteva essere superato di slancio, è stato comunque aggirato ed eluso, senza fragorose collisioni.

Il pari conseguito lascia in dote qualche rimpianto ma consolida il margine di sicurezza sulla zona rischio.

Un successo avrebbe certamente costituito un’ipoteca estremamente significativa sul conseguimento dell’obiettivo salvezza. Tuttavia, i sei punti di vantaggio sulla compagine emiliana rappresentano un’invidiabile patrimonio, numerico e psicologico, su cui costruire, con fiducia e senza eccessive angosce, il prosieguo della stagione.

Il Palermo avrebbe meritato di fare bottino pieno. In virtù di una prestazione accorta, ordinata e gagliarda. Nulla di trascendentale sul piano squisitamente tecnico. Una prova all’insegna della compattezza, della vis agonistica, della solidità. Tattica e mentale. Condita da qualche sprazzo di qualità, utile a spostare gli equilibri della contesa. Quanto bastava per aver ragione di un Carpi generoso ed organizzato ma oggettivamente modesto sotto il profilo della cifra tecnica.

Sulla zampata del solito Gila, corroborata da una lodevole dedizione in fase di non possesso, Sorrentino e soci stavano edificando con merito il crocevia, forse decisivo, dell’annata rosanero. Il raddoppio fallito da Quaison, l’ incauto tackle di Goldaniga, il pari emiliano, ed un finale thrilling con vibranti ribaltamenti di fronte smarriti nell’oblio dei se e dei ma.

Risultato a parte, l’incrocio salvezza contro gli uomini di Castori ha fornito qualche indicazione interessante. In primis sotto il profilo psicologico e caratteriale. Senza retorica alcuna, la sfida tra Carpi e Palermo era a tutti gli effetti uno scontro diretto. Duello tra parigrado che si giocano la permanenza in categoria. Qualcosa in più sul piano della qualità e dello spessore dei singoli in casa Palermo. Sincronismi e coralità nelle due fasi più collaudate per la cenerentola emiliana.

Approccio mentale adeguato per la compagine rosanero. Determinazione, grinta e concretezza. Indole battagliera e spirito gladiatorio. Armatura e via di sciabola, con buona pace dello stile e del fioretto.

Palermo da subito calato agonisticamente nei caldi meandri della contesa. Fervore in sede di pressione sulla sfera, voracità nel raddoppio di marcatura, intensa mutualità tra i reparti per restare corti e compatti, limitando gli interspazi e il concetto di profondità alle proprie spalle. Diagonali chiuse senza fronzoli e qualche scarpata ignorante alla sfera direzione tribuna. Disciplina e vigore. Non un saggio per esteti della materia. Vestito perfetto per l’occasione. Garra argentina e pragmatismo panormita. Mix a firma Schelotto-Tedesco.

Il Carpi, a fronte di una disposizione ordinata ed una copertura del campo meticolosa, ha fatto praticamente il solletico ai rosa. Supremazia territoriale e trame scolastiche regolarmente infrante sul muro del dispositivo siciliano. Assenza di qualità individuale utile a far saltare il banco.

Qualità che emerge nitida nel triangolo Quaison-Hiljemark- Gilardino, sublimato dal bomber di Biella che declama ai nostalgici il manuale del centravanti. Il lesto controllo di tacco in un millimetro d’erba calpestabile, con cui sguscia dalla feroce morsa difensiva emiliana, è l’apice del suo verso calcistico. La puntatina di sinistro, a togliere tempo di pensiero e reazione a Belec, assurge a fiero punto esclamativo.

Non sarà dinamico e organico alla manovra, l’incedere del tempo ha certamente arrugginito esplosività e reattività sul breve. Alberto Gilardino resta depositario di una dote più unica che rara. Fiuto e senso del gol innato nei sedici metri. Classe, malizia, arguzia calcistica che fanno ancora la differenza in the box.

Chi voleva prepensionarlo, insieme al totem Sorrentino, dovrà mordersi la lingua. Carta d’identità ed ingaggi dei due senatori saranno pure pesanti. Ma più pesanti ancora sono i punti figli delle rispettive prodezze, in termini di gol e parate, che potrebbero essere determinanti ai fini dell’ottenimento dell’obiettivo primario. Quella salvezza dall’inestimabile valore sportivo ed economico, senza la quale difficilmente si prefigurerebbe un futuro roseo per il club.

Sul piano tattico questa sorta di 4-3-3 coniato dal tecnico argentino pare essere ben digerito dalla squadra.

Vazquez parte largo e svaria su tutto il fronte come da sua natura. Jajalo è dedito a schermare la retroguardia, sporcando tute le direttrici di passaggio e fungendo a volte da terzo centrale difensivo. Gli esterni bassi sono più prudenti. Lazaar e Struna si guardano le spalle, alternando rigorosamente le sortite sulla corsia. Il Mudo viene spesso incontro per pulire la fase di costruzione con l’ausilio di Hiljemark e Chochev, maggiormente coinvolti nello sviluppo nell’intento di elevare fluidità e qualità della manovra.

Gilafa il suo coprendo la sfera, facendo salire la squadra, provando a dare profondità. Permanendo i noti limiti in sede di dosaggio e qualità in costruzione e rifinitura, la squadra lascia intravedere buoni equilibri tra i reparti riuscendo a restare corta e compatta tra le linee.

Qualche buon movimento canonico da 4-3-3, con il taglio interno dell’ esterno alto che libera l’inserimento della mezzala inizia a vedersi. Hiljemark e Chochev hanno beneficiato un paio di volte del lavoro senza palla di Quaison e Trajkovski, perdendo il tempo per la conclusione. Lo stesso macedone ha attaccato bene la profondità non sfruttando una deliziosa imbucata di Vazquez.

Bene i centrali difensivi contro avversari non irresistibili. Gonzalez e Goldaniga hanno catalizzato tutti i palloni aerei e mostrato attenzione in fase di lettura. Ma sulla prova dell’ex Perugia pesa la grave ingenuità in occasione del rigore. Legittimo o meno, l’imperizia e la foga dell’entrata restano concettualmente censurabili.

Altra nota confortante la reazione sfoderata dopo il pari. Non una remissiva corsa a limitare i danni ma la voglia di provare a rimettere la testa avanti. Tradotta in un paio di ripartenze molto ben orchestrate con la partecipazione attiva di cinque, sei elementi nell’attacco della porta avversaria. Segnale di fiducia nel percorso di lavoro intrapreso.

La strana coppia Tedesco-Schelotto è partita col piede giusto. Forse la rinuncia a Gilardino, unitamente al passaggio al 4-4-1-1, ha abbassato un po’ troppo il baricentro. Cristante ha perso una palla sanguinosa, non entrando appieno nei ritmi da corrida del match. L’impronta del tecnico argentino inizia ad emergere seppur con riflessi frammentari. Quantomeno se ne carpiscono gli intenti che dovranno poi tradursi in risultato effettivo. L’aria attorno all’ ex Lanus sembra comunque positiva. I senatori ne hanno apprezzato idee, carisma e strategia motivazionale. Miglior interfaccia di Giovanni Tedesco per l’alba della sua avventura palermitana non poteva esserci. Negli occhi del picciotto di Pallavicino si legge l’amore totale e profondo per questi colori. In un gruppo estremamente multietnico per cultura, provenienza e scuola calcistica, nessuno come lui può infondere il senso di appartenenza a questa gloriosa maglia.