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Il calcio? Roba da piccoli! Fra la Pulce e la Formica, noi teniamo il Salentino

di Fabio Giacalone Chi ha paura delle formiche? La domanda sorge spontanea, come direbbe il caro vecchio Lubrano, specie di questi tempi visto che nel calcio, un po’ a tutte le latitudini,.

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di Fabio Giacalone Chi ha paura delle formiche? La domanda sorge spontanea, come direbbe il caro vecchio Lubrano, specie di questi tempi visto che nel calcio, un po’ a tutte le latitudini, spopolano giocatori dalle misure decisamente contenute, ma capaci di numeri grandiosi. Leo Messi, un metro e 69, detto la Pulce: su di lui così s’espresse un dì Maradona in persona: “Vederlo in azione è meglio che fare sesso”. La frase la dice lunga su come il tempo e le alterne vicissitudini abbiano profondamente segnato l’ex Pibe de Oro. Sergio Agüero, un metro e 69, detto El Kun: anche lui è strettamente legato al mito di Diego Armando, ma semplicemente perché mentre Maradona gode a guardare Messi che gioca, El Kun fa sesso con sua figlia. Carlitos Tevez, un metro e 69 (pare che in Argentina li facciano con lo stampino): in patria da piccolino – non che ora sia cresciuto in dimensioni – lo chiamavano Apache, ma siamo sicuri che se fosse capitato a Palermo sotto le mani del regista Marco Risi, lo avremmo di certo visto fra i componenti della classe di Ragazzi fuori. Andrei Arshavin, un metro e 72: dalla Russia con furore, il folletto dello Zenith (strenuamente difeso dal suo club durante tutta un’estate di incessanti voci di sontuosi trasferimenti) è uno che ha fatto e continua a fare ammattire le difese di tutta Europa (per informazione chiedere alle merengues Cannavaro e Co. ieri sera ridotti spesso in guisa di semplici meringhe). Frank Ribery, un metro e 60, lo scoiattolo francese che oggi duetta al Bayern con la quercia Luca Toni. Giuseppe Rossi, un metro e 73, praticamente un Watusso: il talento italiano che fa sorridere la Spagna e che qui avremmo dovuto trattenere più a lungo e con maggiori lusinghe. Dopo questo breve, ma esaustivo excursus, la risposta alla domanda iniziale appare scontata: chiunque avrebbe di che temere dalle formiche se gli insetti in questione portassero i nomi appena citati. Il che, a pensarci bene, è una sorta di piccola (non potremmo definirla altrimenti) rivoluzione del calcio moderno, dopo anni in cui si pensava che questo sport avesse decisamente virato verso l’orizzonte dello strapotere fisico e dei corpi statuari. Il colpo di coda della tecnica e della qualità allo stato puro è stato veemente e oggi più che mai il mondo degli appassionati pende dai numeri di giocatori alti un soldo di cacio capaci di mandare in tilt difese costituite da gigantesche muraglie umane. In Italia ne sappiamo qualcosa visto che, a parte le conferme del solito Totò Di Natale (170 cm), uno dei dibattiti più intensi che coinvolge tifosi, tecnici e opinionisti riguarda se sia giusto schierare o no nell’undici titolare juventino la Formica Atomica Sebastian Giovinco. Idolo della curva bianconera che ha chiesto un consistente aumento delle ore di lavoro del fantasista, il Pollicino ex Empoli – appena un metro e 64 di classe pura – finisce con l’essere un problema per Ranieri se non lo schiera, un guaio per gli avversari se impiegato. Dopo la convincente e determinante prestazione di ieri sera in Champions (a salvare una Juve giunta al rotto della cuffia), le sue quotazioni sembrano salire, ma dalle nostre parti si spera che subiscano un’improvvisa e brusca discesa, come del resto la Borsa degli ultimi mesi ha ormai abituato a constatare per ogni genere di titolo. E’ sicuro che metterlo in campo crea problemi di equilibrio. Tattico? Forse. Di spogliatoio? Sicuro: perché per fare spazio ai suoi 21 anni occorre far fuori qualche totem della Vecchia Signora (Nedved e Del Piero tremano). Palermo e il Palermo probabilmente si augurano che siano queste le ragioni a prevalere alla fine. Se così non dovesse essere, si dovranno trovare le giuste contromisure. Ora, tutti sanno che il nemico numero uno delle formiche è il formichiere: ma non s’è mai vista una squadra di calcio che schierasse in campo, fuori da ogni possibile metafora, un esemplare reale del mondo animale. Volendo andare per similitudini morfologiche, potrebbe essere Fabio Liverani il nostro formichiere: ma ruolo e dinamicità del giocatore depongono a sfavore dell’ipotesi che possa essere lui a curare il giovane Sebastian. Forse Nocerino sarebbe più indicato, visto che lo conosce bene anche dai ranghi dell’Under. Oppure il problema potrebbe essere risolto in maniera completamente diversa. Cosa si faceva da bambini quando si trovava una laboriosa formica intenta a trasportare un peso immane sulle proprie spalle, seguendo la fila delle compagne che dal luogo di scorta del cibo mirava dritto all’ingresso del formicaio? A parte i sadici che senza pensarci sopra più di tanto la schiacciavano, gli altri la isolavamo dal resto del gruppo opponendole una barriera invalicabile che la costringeva a ritornare costantemente sui propri passi. Ed è questa la misura che andrebbe adottata per limitare l’azione della Formica Atomica: una gabbia che la faccia girare a vuoto, slegandola dal movimento del resto dei compagni: questi ultimi sì da controllare uomo a uomo, per evitare che in qualsiasi momento (come Iaquinta ieri sera) possano sfruttare le imbeccate del temibile insetto. Dai piani difensivi alle manovre d’attacco, il passaggio è dovuto. Anche perché pure il Palermo annovera nel bagaglio delle sue armi d’offesa un talento micro. Fabrizio Miccoli, che di centimetri rispetto a Giovinco ne conta quattro in più, non è mai stato definito ‘formica’ e per questo oggi la sua pericolosità per gli avversari è decisamente maggiore. Lui, per quanto laborioso possa essere, è uno che in linea di massima vola direttamente a concludere di persona le azioni, esaltandosi proprio nell’uno contro uno decisivo. Lo hanno chiamato bomber tascabile e per questo, come ogni buon asso nella manica, esce e colpisce quando meno te lo aspetti. Oggi, maturo al punto giusto e consacrata punta di diamante di una squadra ritrovata, è quell’elemento imprevedibile che può far pendere la bilancia dell’equilibrio dal lato dov’è più rosa. Ballardini lo sa, glielo ha già detto ed è certo a lui che pensa quando sintetizza: “Noi dobbiamo mettere in campo tanta organizzazione e attenzione, convinti che poi sia il talento dei singoli ad esaltarci”.