Di William Anselmo
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I creatori di realtà parallele dove “va tutto bene”. Le bolle però poi scoppiano
Alla corte del "capo" tanti consiglieri che non hanno il coraggio di dirgli quando sbaglia.
Assecondare il capo fa male. Fa male all'azienda, al business, a tutto l'ambiente. Non fa male, anzi, fa benissimo, solo al portafogli di chi è capace di trovare capri espiatori per ogni cosa mettendo al sicuro il proprio posto di lavoro.
I personaggi alla Zamparini un po' se la cercano: se imposti un'azienda incutendo il terrore di far fuori chiunque non sia in linea con te, allora la strada è segnata. Non riceverai mai senso critico costruttivo, ma solo accondiscendenza.
L'esempio più scontato è quello che possiamo fare con gli allenatori nel calcio: arrivano tutti carichi, con gran voglia di fare e convinti di poter gestire il presidente. Dopo qualche mese, o settimana, si trovano sotto stress e con un datore di lavoro ingestibile che "consiglia" quel modulo piuttosto che quell'altro giocatore.
A quel punto le reazioni umane sono almeno tre: i più permalosi salutano e vanno via subito; i più spavaldi fanno di testa loro e vengono sollevati dall'incarico dopo poco tempo; i più furbi assecondano il capo e durano un po' più a lungo, ma non ottenendo risultati, alla fine vengono ugualmente sollevati dall'incarico.
I più pericolosi, in ogni ambito lavorativo, sono proprio quelli di quest'ultima categoria, quelli che assecondano il capo. Sono loro i creatori di realtà parallele dove "va tutto bene" e "stai tranquillo che si risolve", mentre la barca affonda ricca di sorrisi e belle parole. Prendono tempo mentre professano ottimismo, e non osano minimamente contraddire chi li stipendia. Così se il capo suggerisce soluzioni suicide per l'azienda, loro sono i primi che fanno i complimenti per la grande idea. Davvero una gran bella idea! Boss sei un genio! E così via.
In questo modo si crea una realtà che non esiste, alimentata da zelanti consiglieri del "sì" che preferiscono dare la colpa sempre a qualcun altro, magari a quei cattivoni della stampa oppure agli arbitri "cornuti" (se si parla in ambito calcistico), agli allenatori, ai simuatori, piuttosto che dire al proprio capo "guarda che stai sbagliando" oppure "guarda che ho sbagliato io". A scanso d'equivoci specifichiamo che non ci riferiamo a nessuno in particolare.
E dunque succede spesso in molte aziende in cui il capo gestisce a distanza, che la realtà in cui si convince di vivere è una realtà glitterata e sempre positiva, una bolla di sapone, bella al punto da non riuscirsi mai a spiegare gli insuccessi. Insomma, una balla. Soprattutto se i "bravo, bravissimo" arrivano da tutte le parti e i propri sottoposti relazionano in modo errato (sempre per tutelare loro stessi prima che l'impresa).
Fino a quando uno schiaffone in pieno viso, metaforicamente parlando, ti sveglia di colpo. Scoppia la bolla e svela trucco, inganni, compiacenze e disastri.
E' il problema del capo-padrone che vive l'azienda incredibilmente solo e del professionista-sottoposto che preferisce mettere da parte il proprio entusiasmo, le proprie idee e l'amore per la verità, al fine di guadagnare quanto più tempo possibile prima di essere scoperto e licenziato.
In fondo con tutti i soldi che spende un'azienda non ci vorrebbe poi molto per migliorare: basterebbe più critica costruttiva e una corte di consiglieri più coraggiosi. Sempre che chi comanda sia disposto ad ascoltare...
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