di Benvenuto Caminiti
serie b
Salernitana-Palermo, la noia sovrana ed il cuore in letargo: quella voce stridula che non vuoi mai ascoltare…
L''incertezza di Brignoli unico brivido di una ripresa avvolta da un torpore desolante, l'eterna passione per questi colori messa a dura prova da una performance scarna e modesta sotto il profilo tecnico ed agonistico. Il deludente match...
Lo spettacolo che offre la coreografia dell’ "Arechi" mozza il fiato e conferma una volta di più che per tifare la propria squadra non conta la categoria, Serie A, Serie B, Serie C; non conta neppure la caratura tecnica dei giocatori: conta solo la maglia. Tutto il resto è noia.
Noia come la partita di ieri per tutti i suoi novanta minuti più recupero, tranne un paio di guizzi del Palermo nel primo tempo (tiro a botta sicura di Salvi dai dieci metri, dopo un bellissimo lancio verticale di Bellusci) e paratona di Micai in uscita, e traversa dello stesso Trajkovski, dopo rapido scambio con Salvi. Poi, tra le file del Palermo è calato il buio (carente condizione fisco-atletica?) e la Salernitana s’è messa coraggio, anche per l’ingresso in campo, per fortuna nostra tardivo, di Jallow, Di Gennaro e Bocalon.
Così è finita a reti inviolate una partita dominata dalla paura dei granata e dalla sterilità offensiva del Palermo. Mi spiace sottolinearlo una volta di più ma Moreo sembra sempre di più un corpo estraneo, e anche peggio perché di solito lui lotta, aiuta a centrocampo e si batte sui palloni alti. Ieri, invece, non s’è visto mai, come se non fosse in campo e Tedino ha tardato anche troppo a sostituirlo (18’ della ripresa, con Haas, che non avrà i novanta minuti nelle gambe ma è pur sempre un giocatore di sicuro rendimento).
Non è facile trovarmi così freddo, quasi glaciale, perché, pur brutta che sia, una partita del Palermo, ai miei occhi – e soprattutto al mio cuore rosanero – appare sempre come una battaglia da vincere, anche da perdere, ma sempre sudando la maglia. Tutta “roba” che ieri non ho visto né con gli occhi del cronista né con quelli del tifoso: una noia piatta che mi fa più male di un autogol o di una papera del nostro portiere, com’è successo all’88 a Brignoli , che si lascia sfuggire dai guantoni un pallone qualunque ed offrirlo, prezioso omaggio, al sopraggiungente Bocalon. Ebbene, in quell’istante – una frazione di frazione di secondo – il mio cuore, che sembrava in letargo (e col Palermo una cosa simile in settant’anni di calcio rosanero mi sarà successa un paio di volte, e non più) si è messo a battere all’impazzata, come volesse schizzarmi via dal petto… Mentre dalla gola mi partiva, straziante, un urlo: “Ma chi minchia cummini, ah ?… Nienti nienti mi vuoi fai muoriri a Varese?”. Rabbia e sollievo in un batter di ciglia, il tempo del tiro-gol di Bocalon e del tempestivo levar su della bandierina per offside del guardalinee. Il tutto mentre l’ “Arechi” da bolgia diventava inferno, nel quale il diapason acustico trapanava le mie orecchie di vecchio stanco e semisordo: “Sa-ler-no... Sa-ler-no…”, cantava in coro tutta la curva, gremita. “Gol…. Gol… Gol…”, era il coro successivo. Dall’estasi all’inferno, il passo è breve per chi vive di passione – bandiere, striscioni , canti, cori e inni - sugli ardenti spalti di uno stadio.
Una noia piatta, che è l’unica minaccia seria per la passione del tifoso, perché la mette a dura prova, come se di continuo gli dicesse. “Ma chi te lo fa fare? Loro se ne fregano della tua passione, loro pensano solo ai soldi!”. Sapeste quante volte l’ho sentita questa vocina stridula e maligna, talvolta solo un sibilo, talaltra un grido: “Lascia perdere, goditi la vita e mandali tutti affa’…!”. Quante volte sono stato tentato di ascoltarla ma non ho mai ceduto perché, poi, me ne sarei vergognato da morire e a fare i conti con la mia coscienza ho tutto da perdere. Così, ho sempre voltato pagina e ricominciato, anche se, francamente, le mie ossa stanno cedendo e vogliono portarsi dietro il mio cuore: “Ascoltami, dacci un taglio, perché io non ho più le gambe per saltar su all’ennesimo gol mangiato o all’ennesima a papera del portiere!”.
Quanto durerà ancora la mia vecchia tempra di tifoso? Un anno, due, o solo un paio di mesi, e poi, stop? Non dipende da me, ma da lui, dal mio vecchio cuore che, da anni ormai mi manda chiarissimi segnali di resa, basta una salitella di dieci metri e il fiatone mi serra la gola; basta un’emozione, che so, un abbraccio inaspettato di mia figlia o uno sguardo d’intesa di Cettina, che si mette a battere prima forte, poi rallenta, poi quasi non lo sento più. E ieri, infatti, alla papera di Brignoli ho avuto un capogiro, il tetto della casa che mi cadeva sulla testa, ma, come già detto ci ha pensato il guardalinee a riportarmi al (mio) mondo…
Conto molto – forse troppo – in Puscas, ieri assente per squalifica, l’unico che può dare sostanza ad un reparto offensivo fin qui praticamente inesistente (zero gol da inizio stagione); se ne può giovare anche capitan Nestorovski se, finalmente, si convincerà che giocare bene gli conviene, se davvero aspira, sin da gennaio, a palcoscenici migliori della serie B. E così tutta la squadra, perché se non fai gol non vinci e se non vinci non c’è traguardo dignitoso che possa salvare la stagione. A cominciare da venerdì sera al “Barbera” contro la temibile Cremonese, guidata da un allenatore vecchio stampo come Mandorlini, uno che pensa prima a non prenderle e poi, solo se l’avversario glielo concede, ad attaccar per vincere. Certo se la Cremonese, quando entra in campo, trova gli spalti del “Barbera” ruggenti come ai vecchi tempi, sarà più facile batterla. E io, vecchio, inguaribile romantico, che crede ancora alle favole e ai buoni sentimenti, da quassù dove mi trovo per imprescindibili doveri familiari, guarderò la partita e tiferò come se mi trovassi ancora e sempre al centro della ormai mitica “Fila 19”.
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