"Non ho rimpianti nella mia vita, dico solo grazie: per tutto quello che mi è stato dato, per la possibilità di giocare ad altissimi livelli. Grazie soprattutto a mia moglie e alle mie bambine, che sono fondamentali, ogni giorno, per continuare a vivere".
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Gilardino: “Dalla passione per la Juve alla scelta Guangzhou, nella mia vita non ho rimpianti”
Il bomber dei rosanero si racconta: ecco alcune delle tappe della sua carriera calcistica e non.
Alberto Gilardino si racconta. In un'intervista rilasciata alla rivista 'Undici' ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera. "Ho sempre giocato da attaccante, sin da quando ero bambino. Il calcio è stato la mia passione fin dai due, tre anni. Mio padre lo praticava, ma a livello amatoriale. Lui e mia madre mi hanno supportato nelle scelte e hanno fatto sì che potessi esaudire questo sogno. A casa mia, o eri del Toro o della Juventus: io ero appassionato della Juve, andavo a vedere Baggio, Möller, Vialli. Poi è normale che questa cosa un po’ è svanita, giocando per sedici anni contro di loro, anche se alla Juve non ho segnato molti gol - spiega -. A undici anni andai in un campo organizzato dalla Juventus per giovani calciatori, al Sestriere. Durava una settimana. Il terzo giorno chiamai mio padre e gli chiesi di venirmi a riprendere: era molto dura, non ce la facevo a rimanere da solo. Solo due anni e mezzo dopo andai a Piacenza e cominciai il settore giovanile. La mentalità cambiò: il bambino era diventato ragazzo. A Piacenza ho avuto la fortuna di trovarmi in un contesto del genere, una piccola realtà. Anche se era un calcio un po’ diverso: le squadre erano fatte di gente esperta, i giovani dovevano essere davvero forti per trovare spazio. I giovani devono giocare. Se non c’è spazio in A, consiglio sempre di andare anche nelle serie inferiori. Solo con l’esperienza, sul campo, puoi migliorare. Il campo è una scuola di vita".
Guangzhou -"Venivo da una stagione importante a Genova, ma anche tormentata. Avevo lottato per tutta la stagione, per poter andare ai Mondiali in Brasile. Avevo giocato sei mesi con una mano rotta, avevo giocato con una spalla lussata. La convocazione non arrivò. Mi sentii stanco. Ho sempre sognato di fare un’esperienza in un campionato estero, ma non avrei mai immaginato la Cina. C’è stata questa possibilità, mi sono detto: ho l’età giusta, sono pronto per provare, con un allenatore che mi voleva e mi conosceva. Ed è stata un’esperienza formativa, come apertura mentale: vivi in un mondo completamente nuovo, la cultura cinese è così diversa da quella occidentale. Per me, mia moglie e le mie figlie è stato bellissimo. Il calcio è in evoluzione, là. Stanno arrivando giocatori, allenatori. Non si può nascondere che molto dipende dai contratti faraonici, ma in parte c’è un discorso tecnico: gente preparata come Lippi, Eriksson, Scolari, è una garanzia. Per adesso, comunque, campionati tipo la Premier sono ancora avanti rispetto a scenari come quello cinese o quello americano".
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