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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTÀ Palermo-Juventus e il sogno spezzato

di Benvenuto Caminiti All’indomani del ciclone-Juve, fatalmente abbattutosi anche sul Palermo, mi pongo alcune domande a cui io stesso, come direbbe Marzullo, provo a dare delle risposte. La.

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di Benvenuto Caminiti All’indomani del ciclone-Juve, fatalmente abbattutosi anche sul Palermo, mi pongo alcune domande a cui io stesso, come direbbe Marzullo, provo a dare delle risposte. La prima: che vita è se si rinuncia ai sogni? Una vita grama, sicuramente, farne a meno sarebbe come rassegnarsi prim’ancora di averci almeno provato. E più arditi sono i sogni più bello è provarci. Per questo, da qualche tempo coltivavo il sogno, ai più subito apparso impossibile, che il Palermo riuscisse ad interrompere l’imbattibilità della Juve. Sì, lo so, l’ho sempre saputo, questo non era un sogno, era un’utopia, una chimera, un’araba fenice, che sappiamo che esiste in qualche luogo impervio della terra, ma non abbiamo neanche l’idea di che luogo si tratti. Ma un sogno è un sogno, se non è inafferrabile che sogno è? Non stiamo mica parlando di desideri, che tutti possono avere e perseguire. Il sogno è un’altra cosa e non sto neanche a consultare lo Zingarelli per spiegarne la genesi, il significato profondo; non ce n’è bisogno, basta raccogliere i propri pensieri più profondi, qualche volta addirittura imperscrutabili, per capire che il sogno è il miele della vita, la via di fuga: quando ti prende a schiaffi, ti mostra la sua faccia peggiore e ti stende come un tappeto; quando tutto sembra perso e sei disperato e ti guardi in giro in cerca di un appiglio, in cerca di un amico e ti ritrovi solo e più disperato di prima. Allora, in quel preciso istante, due sono le vie possibili: o rassegnarsi passivamente o spendere le ultime stille di energia per reagire e ritrovarsi. E se entrambe le scelte si rivelano sbagliate, ecco l’ultima chance, è qualcosa di “strano”, di completamente avulso dalla realtà, perché va oltre, rompe gli argini e si arrampica sugli specchi. Eppure, se hai cuore, fantasia e coraggio è un “invito” che non puoi rifiutare. E ti ci butti a capofitto, senza star lì a pensarci troppo, ma con totale dedizione, perché è l’ultima occasione, l’unica in grado di trarti fuori dall’inferno nel quale credevi di essere precipitato per sempre. Ecco, come al solito, ho esagerato e neanche solo un po’; per spiegare che nella vita i sogni sono necessari, bastava dire: se tutto sembra finito, perché non sognare, visto che i sogni non costano nulla? Basta abbandonarsi ad essi col cuore e coi pensieri ed augurarsi che, ogni sera andando a dormire, ti vengano incontro ad un ad uno e sono tutti così belli che tu hai solo l’imbarazzo della scelta. Tutto questo (s)ragionare - ed altro ancora - mi ha portato inevitabilmente a sognarla la vittoria sulla Juve, anche se era l’unica squadra del campionato ancora imbattuta; anche se si presentava al “Barbera” per vincere e scavalcare il Milan in testa alla classifica; anche se il Palermo non era il vero Palermo ma quello falcidiato da infortuni e squalifiche. O forse proprio per questo. Perché il Palermo aveva tutti questi guai, uno più serio dell’altro, il mio sogno, anziché svanire prima del tempo, acquistava per me un fascino sempre più irresistibile. D’altronde, come ho già spiegato, un sogno è un sogno solo se ha pochi, se non nessuno aggancio con la vita reale. Eccomi, dunque, a pensare sempre più fortemente, ad una vittoria del Palermo. Al di là della logica, dei numeri, della classifica, dell’indiscutibile superiorità della squadra bianconera, io non solo me la sognavo la notte (“Che bello sarebbe – mi dicevo nel dormiveglia strano che precede i sogni più bizzarri – battere la Juve e farle perdere l’imbattibilità!”) ma ci speravo pure e, chiacchierone come sono, specie quando si tratta delle mie passioni, ne parlavo a destra e a manca e trovavo solo risolini e battutine sarcastiche, tipo: “Mischinu, anzianieddu è ma già sbiellò ri cirivieddu!”. Senza capire che io stavo solo raccontando un sogno, che è come una favola, che, alla fine di mille traversie, finisce sempre bene. Certo, questa della vittoria sulla Juve non è finita bene, ma è solo questione di punti di vista: per come si è battuto il Palermo con i suoi ventenni nella linea difensiva, io dico che è stata comunque una vittoria. Non la registrerà nessuna classifica, nessuno ne parlerà mai, ma per me va bene lo stesso. L’importante è sognare e non arrendersi mai. Ognuno lo fa con le risorse di cui dispone. Io, per esempio, dispongo dei miei sogni, io mi ci tuffo addirittura ed è sempre come quando, da ragazzo, mi tuffavo dal trampolino e, per un attimo, mi sembrava di volare. La seconda: che piacere c’è se vinci ed invece devi far finta d’aver perso? Nessun piacere, semmai un rimuginare deleterio che può anche provocarti un’ulcera allo stomaco o una palpitazione pericolosa del cuore. Che sto dicendo? Ora vengo e mi spiego: ieri mi sono seduto al mio posto, in tribuna stampa, accanto al grande Giuseppe D’Agostino, alla mia destra e al sempre lieto Piero Cascio, alla mia sinistra. Mancava un po’ alla partita e l’atmosfera era più elettrica del solito. Mi intervista Fabio Citrano per una radio e mi fa la domanda di rito: “Come vedi questa partita?” E io, per sventare la tensione: “Con gli occhiali… senza me la potrei solo immaginare. Ma, bando agli scherzi, tutto è per la Juve ma io sogno da settimane che stasera perderà l’imbattibilità. Sì, lo so, la sto sparando grossa ma il calcio è bello anche per questo: perché, a differenza della vita, i miracoli sono più frequenti di quel ch’è lecito pensare. Guarda che scherzo ha combinato la Fiorentina al Milan!”. Fabio sorride amabilmente e io torno al mio posto che sta per cominciare la partita: fischio d’inizio ed ecco che nell’unico posto ancora libero, alla sinistra di Piero, si accomoda un tipino mai visto. Lo guardo di traverso e non mi ispira alcuna fiducia; non ha p.c. né microfoni o taccuini. Chi è costui? Mi domando e, pur nel bailamme emotivo della partita, non lo perdo d’occhio. E constato che mentre tutta la tribuna stampa è un tumulto di emozioni, lui, il tipino, è una sfinge: una pietra mostrerebbe più vitalità. Tale e quale per tutta la partita, perfino al gol di Bonucci: lo guardo e lui lì, inerte, come una statua di sale. Mi sono sbagliato, mi dico, ma, al gol di Quagliarella, sarà stata un’impertinente “escursione” dell’anima, il tipino ha come un fremito, un sorriso lieve e impalpabile sfiora il suo viso di pietra ed esplodo: “Avevo ragione io: non sei dei nostri! Ma tu hai perso lo stesso, perché vincere e nascondersi è come perdere…