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PALERMO, FILM GIA VISTO ENNESIMO CIAK CON FINALE DIVERSO? (con video)

di Leandro Ficarra Lesonero di Rossi, larrivo di Cosmi, la contestazione dei tifosi dopo lennesima sconfitta e il ritorno di Delio sulla panchina del Palermo. PALERMO COME IN UN FILM Come.

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di Leandro Ficarra Lesonero di Rossi, larrivo di Cosmi, la contestazione dei tifosi dopo lennesima sconfitta e il ritorno di Delio sulla panchina del Palermo. PALERMO COME IN UN FILM Come volevasi dimostrare. L’ennesimo ciak di un film già visto, a metà tra il grottesco e l’horror, il romanzo e la soap opera. Una sequenza di cui tifosi e addetti ai lavori conoscono ormai a memoria trame ed intrecci, presagi e tempeste, gogne e divorzi, redenzioni e pentimenti, grevi e tardive pezze a colmare falle scavate con le proprie mani. Rigurgiti di coscienza calcistica e frustrazione gestionale, alla ricerca di un lieto fine ormai dissolto tra i mille perché di un copione disgregante, frenetico e masochista , tristemente scevro di originalità e pathos nel colpo di scena che ormai ti aspetti. Il “Serial” a cui facciamo riferimento ovviamente racconta la saga dei tecnici e dei relativi, nel senso più globale del termine, progetti del Palermo calcio. Una produzione firmata Maurizio Zamparini, con la regia di Maurizio Zamparini, scritta diretta e interpretata da Maurizio Zamparini. Una pellicola geniale nel suo embrione originario, impeccabilmente gestita sul piano imprenditoriale, ma che puntualmente nei passi più fulgidi della storia, quando il film si fa avvincente e sfiora il sublime, si aggroviglia rovinosamente sull’indole accentratrice, egocentrica e genuinamente fanciullesca di chi ritiene il suo opinabile punto di vista inconfutabile verità assoluta. E così pretende di riscrivere, testo, cast e soggetto in un lampo secondo i moti della sua verace passione, animato da interventismo e buona fede, con una frenesia che ne inficia il raziocinio creando un effetto che, da salvifico nelle intenzioni, diviene destabilizzante per chi assiste attonito al disfacimento dell’opera, con i giocatori protagonisti della serie che, privi delle figure e dei concetti di riferimento, smarriscono battute e canovaccio proprio ad un passo dall’oscar. IL RITORNO DI DELIO ROSSI Il ritorno in sella di Delio Rossi è un riconoscimento legittimo all’uomo, al professionista, alla straordinaria qualità del lavoro svolto dall’ex, neo e chissà ancora cos’altro tecnico del Palermo. Restituisce un minimo di sollievo, un senso di giustizia calcistica ed etica, purtroppo sovrastato nell’intensità dal rammarico di cosa sarebbe potuto essere e non è stato. Dall’incapacità di comprendere la controversia e l’utilità di un percorso a ritroso dilaniante sul piano tattico e psicologico, che a rigor di campo, principio e logica non v’era motivo d’intraprendere. Perché non solo sono state compromesse, numericamente, le audaci, forse troppo, mire di inizio stagione ma si è lesa, in tempi e modi diversi, la professionalità e la dignità umana di due tecnici, Delio Rossi e Serse Cosmi, molto diversi per background e filosofia calcistica ma accomunati da grande spessore e correttezza sul piano prettamente umano. Per non parlare dell’involuzione collettiva ed individuale di una squadra violentata a sposare un calcio, per forma mentis ed atteggiamento tattico, agli antipodi con i sincronismi memorizzati in due anni di lavoro, il tutto in un lasso di tempo esiguo ed in un clima di perenne instabilità. Provare a dare una spiegazione razionale a tutto ciò è assolutamente impossibile, perché il Palermo come club, nella sua strategia operativa ed in ogni ambito della sua gestione, si identifica in maniera totalizzante nell’ imprenditore e soprattutto nell’uomo Maurizio Zamparini. IL PRESIDENTE ZAMPARINI Un uomo straordinario, Maurizio Zamparini. Un uomo a cui il pubblico rosanero deve una dignità ed una dimensione calcistica che è stata linfa di un parziale riscatto sociale e di immagine della squadra e della città. Un uomo che ha improntato una gestione societaria trasparente ed oculata, facendo del Palermo un club modello per solidità finanziaria, fluidità economica e limpidezza amministrativa. Un uomo che anche nell’errore è sempre emblema di correttezza ed onestà. Un uomo, in quanto tale, dotato di pregi e difetti, passionale e generoso, ma a volte incauto e controverso, geniale e lungimirante, ma spesso tradito da eccessi di impulsività ed egocentrismo, illuminato, ma a volte anche vittima, della debordante inconfutabilità del suo istinto, dell’assoluta e talvolta cieca consapevolezza della bontà sue convinzioni. Un uomo ed un presidente vero che, come la sua squadra, fa gioire e dannare i tifosi alternando performance strabilianti e giocate d’alta classe, a scelte incomprensibili e topiche colossali. A lui vogliamo adesso rivolgerci evitando inutili e sterili appelli ad una maggiore razionalità ed equilibrio, nella piena consapevolezza che il popolo rosanero e tutti gli addetti ai lavori gli devono rispetto e gratitudine per la passione, la managerialità, i capitali investiti e le sua voglia di bonificare il sistema calcio. Gratitudine e rispetto ma non certo servilismo ed incondizionata devozione. Il presidente, democratico e contro ogni forma di prostrazione e di censura intellettuale siamo sicuri non gradirebbe, lui ama l’autonomia di pensiero, sostiene la sacra libertà di confronto pur nella difformità di vedute. L’ERRORE DELL’ESONERO DI DELIO ROSSI Allora ci permettiamo di esprimere in maniera serena la nostra valutazione, meramente di matrice calcistica, sui motivi che ci hanno indotto per convinzione e coscienza critica a ritenere fin da subito improvvido il provvedimento che ha sancito l’esonero di Rossi, così come infondate le motivazioni tecniche addotte dal patron a suffragio di tale decisione. In quasi due anni di lavoro, Delio Rossi ha costruito una squadra fortemente caratterizzata sotto il profilo tattico e mentale. Un 4-3-1-2 nella prima stagione, subentrato in corsa a Zenga, l’anno dei record polverizzati, dei 65 punti con la qualificazione in Champions sfuggita per uninezia. Al di là dei risultati, il valore aggiunto del suo lavoro si è palesato nella creazione di un gioco estremamente propositivo, lineare, fluido. Con la partecipazione armoniosa ed organica di sette-otto uomini alla fase offensiva, che aveva tracce e tempi di manovra ben definiti e varie e codificate opzioni: dalla spinta degli esterni bassi, agli inserimenti dei centrocampisti e del trequartista, alla ricerca della profondità che premiasse gli incroci delle punte. Un calcio spettacolare e redditizio che fondava il suo pensiero su Liverani, il suo lignaggio sulla classe di Miccoli e Pastore e trovava equilibrio tattico nel talento di Kjaer,nei mille polmoni di Nocerino e Migliaccio, nell’intelligenza tattica di Simplicio, nel sacrificio e nella straripanza atletica di Cavani, vero e proprio ago della bilancia. Un calcio riproposto in questa stagione, nonostante le partenze eccellenti, i nuovi giovani da svezzare, le lacune strutturali mai colmate nonostante i moniti del tecnico romagnolo nelle varie sessioni di mercato. La variante del doppio trequartista, per far fronte all’iniziale indisponibilità delle punte e dar sfogo al talento di Ilicic, ed il solito calcio, organizzato, spettacolare, audace, con sprazzi di alto spessore tecnico ed estetico unanimemente riconosciuti. Risultati all’altezza degli obiettivi prefissati ed una vulnerabilità difensiva fisiologica per la composizione dell’organico e le caratteristiche peculiari dei singoli.Una fragilità la cui ragione non andava certo ricercata nelle responsabilità di Delio Rossi o nella sua presunta deficienza nell’ allestimento della fase difensiva ma nella storia e nella tipologia dei calciatori che compongono la rosa del Palermo. Una vulnerabilità che, più che un problema, è un modo di essere, di interpretare il calcio aggredendo sempre la partita ed esponendo il fianco all’avversario al fine di azzannarne il cuore. L’unico modo possibile per conferire competitività e mascherare i difetti di questa squadra che non dispone nei suoi uomini delle attitudini fisiche e tecniche per giocare un calcio votato al contenimento dell’avversario, alla copertura degli spazi, all’insegna dell’attendismo e della solidità difensiva. LE RAGIONI DI UN DNA OFFENSIVO Perché il Palermo è una squadra che ha un parco di giocatori offensivi, tra punte e trequartisti, che straripano di classe e di talento ma di cui solo Pinilla, e parzialmente Ilicic, hanno un minimo di predisposizione a partecipare alla fase di non possesso palla. Perché il Palermo ha due esterni bassi di fortissima propensione offensiva come Cassani e Balzaretti che danno il meglio quando spingono e sovrappongono costringendo ad abbassarsi gli omologhi di ruolo, perché il Palermo non ha dei centrali difensivi esplosivi, rapidi e cattivi nella marcatura, indispensabili se si vuole giocare con una linea a tre, ne tantomeno difensori prestanti fisicamente e forti nel gioco aereo (a parte Goian) che gli consentano di difendersi schiacciato nella propria area poiché, miracoli di Sirigu a parte, l’errore, figlio dellinesperienza (Munoz docet), è sempre dietro l’angolo. Perché se hai in organico gente come Miccoli, Pastore, Hernandez e Ilicic che vive per il gol, la giocata a sensazione, il colpo di genio, non puoi snaturarne l’essenza ed intristirne il talento. Perché se un muscolo di Cassani, Balzaretti o Migliaccio fa le bizze dopo migliaia di chilometri percorsi, e se dunque devi affidarti alla giovane esuberanza ed al talento futuro e potenziale di Darmian, Garcia o Acquah, è fisiologico attendersi l’ingenuità. Questultima è tappa basica del processo di crescita di un giovane calciatore. Perché se i primi acquisti, dopo il vuoto lasciato dalle dimissioni di un ottimo direttore sportivo come Walter Sabatini, si chiamano Andjelkovic, Kurtic e Paolucci, noi riteniamo opportuno che anche il club si cosparga il capo di cenere vagliando anche le proprie responsabilità. Perché quando si afferma, a ragione, che Munoz sarà un grandissimo difensore, bisogna soffermarsi sulla coniugazione del tempo del verbo. E’ innegabile infatti che lo sarà, e che lo diventerà anche grazie agli errori decisivi che, nell’ambito di una buona prestazione, ti possono segnare in negativo una partita. Perché se prendi gol perdendo la marcatura su palla inattiva, commettendo un errore di posizione o di misura, perdendo ingenuamente l’uno contro uno, l’equilibrio tra i reparti centra poco o nulla. Perché pensare che questa squadra, così per come è stata pensata e costruita, possa sciorinare le trame offensive del Barcellona ed avere la solidità del Milan di Capello o della Juventus di Trapattoni, ci pare mera utopia per chiunque conosca i principi basilari del calcio. IL CARONTE SERSE COSMI Stima e solidarietà a Serse Cosmi che si è trovato catapultato in un contesto di estrema difficoltà e non ha lesinato impegno ed entusiasmo nel tentativo disperato di infondere i concetti del suo calcio, dignitosi e rispettabilissimi, ad una squadra che aveva nelle corde e nel dna uno spartito troppo lontano dal suo credo. Tempo e condizione psicologica del gruppo non gli hanno giovato, si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, e comprendiamo come la più grande occasione della sua carriera si sia trasformata nella delusione più cocente. Un sentito bentornato a Delio Rossi, un grazie per il calcio che ci ha regalato e che, siamo certi, ci regalerà ritrovando la sua squadra in questo scorcio finale della sua favola rosanero. Un grazie particolare perché sappiamo, conoscendolo, che l’amore per la squadra e la città di Palermo ha prevalso, al momento della sua decisione, su ragioni di coerenza e dignità professionale che gli avrebbero consigliato ben altra risposta quando Zamparini ha deciso di richiamarlo alla guida del Palermo. Una riflessione tormentata ed un sì, di vero cuore, urlato alla città più che al presidente, per una storia di calcio, di sentimenti e di passioni che adesso può riscrivere un finale più degno.