palermo

Cronaca: Foschi e quella testa di capretto insanguinata “regalatagli” a Palermo nel 2006. Ricostruita la vicenda, i motivi dell’atto intimidatorio

Cronaca: Foschi e quella testa di capretto insanguinata “regalatagli” a Palermo nel 2006. Ricostruita la vicenda, i motivi dell’atto intimidatorio

La mafia voleva ricordare all’attuale dirigente del Cesena che dalla morsa dei clan non si poteva o doveva scappare.

Mediagol40

Un macabro regalo per il Natale del 2006, nove anni fa. In queste ultime ore è stata ricostruita tutta la vicenda relativa al pacco contenente una testa di capretto insanguinata recapitato all'ex direttore sportivo del Palermo, Rino Foschi. Lo stesso dirigente romagnolo che nei prossimi mesi - a distanza di sette primavere - potrebbe tornare a coadiuvare Maurizio Zamparini, le cui ultime dichiarazioni avallano proprio questo ritorno.

"Mia moglie si è presa una gran paura ed è svenuta - aveva detto Foschi, cercando di sdrammatizzare -. Io vivo a Palermo da cinque anni e non ho mai avuto problemi di alcun genere. Non so che dire".

Con quell'atto intimidatorio, invece, si intendeva ricordare i presunti accordi presi sui lavori dell’ipermercato allo Zen. L’arresto del boss Salvatore Profeta, del nipote Rosario e dei suoi scagnozzi nell'operazione "Stirpe", è servito a ricostruire la situazione, con un pacco consegnato in viale del Fante e scartato, nel 2006, sotto l’albero di casa Foschi. A fornire degli importanti elementi - si legge su PalermoToday - è stato il collaboratore di giustizia Andrea Bonaccorso, che già nel 2008 aveva indicato agli inquirenti il significato e le modalità del gesto intimidatorio. Rosario Profeta aveva messo a disposizione i mezzi della propria ditta di trasporti per recapitare quel pacco. Inoltre, secondo quanto scritto dai sostituti procuratori della repubblica Francesca Mazzocco, Caterina Malagoli e Sergio Demontis, il pentito Marcello Trapani aveva "riferito che dietro i principali club vi erano esponenti mafiosi o soggetti legati ad esponenti mafiosi, ed un ruolo di primo piano nella gestione dell'affare era ricoperto da Salvatore Milano, già condannato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, che aveva stretto rapporti sempre più stretti con vari dirigenti del Palermo calcio e segnatamente con il ds Foschi, il quale era perfettamente consapevole del suo spessore mafioso e ciò nondimeno aveva permesso allo stesso Milano di accrescere la sua influenza negli ambienti del club di viale del Fante". Foschi tentò di collegare l'episodio a questioni relative al calciomercato e a vicende calcistiche, ma il problema era legato proprio all’imposizione delle ditte e delle forniture nei cantieri dello Zen: la mafia voleva ricordare all’attuale dirigente del Cesena che dalla morsa dei clan non si poteva o doveva scappare.