palermo

IACHINI: “PALERMO CAMBIATA, MARADONA…”

IACHINI: “PALERMO CAMBIATA, MARADONA…”

L’allenatore del Palermo Giuseppe Iachini ha rilasciato un’intervista-fiume alle colonne di ‘I Love Sicilia’, nel corso della quale ha affrontato diversi argomenti, dalla.

Mediagol8

L’allenatore del Palermo Giuseppe Iachini ha rilasciato un’intervista-fiume alle colonne di ‘I Love Sicilia’, nel corso della quale ha affrontato diversi argomenti, dalla promozione in Serie A alla sua famiglia, dalla sua esperienza da giocatore alle sue origini, passando per la fede e Papa Fancesco. Il tutto impreziosito da un episodio che lo vide contrapposto al ‘Pibe de Oro’, Diego Armando Maradona.

Mister, lei dà l’impressione di essere uguale a se stesso in ogni momento. Iachini è Iachini, in casa, al campo e al supermercato. È così?

"È vero. Per me è normale. Quello che conta è essere una persona fedele ai suoi principi. Noi andiamo in televisione, rilasciamo interviste, stiamo sui giornali. Però io non mi monto la testa. So che quello che ho è stato ottenuto grazie al lavoro e al sudore. Non mi piacciono i presuntuosi".

La presunzione è quindi da abolire: non seguire il proprio ego, ma…

"Il cuore. La cosa più preziosa è il nostro cuore. Per il resto non me ne frega niente. C’è una frase che riassume il mio modo di pensare. L’apparire non conta. Vale di più che sei".

A proposito di cuore, è quello che l’ha spinta a correre intorno al campo per l’addio al Palermo da calciatore nel ’96?

"Il Palermo giocava contro l’Ancona, se la memoria non mi inganna (non lo inganna, ndr). Sapevo che non sarei rimasto, Ci fu la sostituzione. Nei venti metri che mi separavano dalla panchina accadde di tutto. I tifosi urlavano bellissime parole d’amore. Dovevo ringraziarli e fare qualcosa. Non capii più niente e cominciai a correre. Sono ancora dispiaciuto per non aver portato quella squadra in A, con gli altri, eh … Nessuno fa niente da solo".

Nessuno fa niente da solo. Sembra un principio difficilmente inculcabile ai giocatori contemporanei: è così difficile educarli?

"E perché? I calciatori sono ragazzi come gli altri. La società cambia, cambiano pure loro. È normale. Sono persone e i soldi non risolvono i problemi. Hai la strada facilitata per molti aspetti, ma le insicurezze, come le paure restano. Ogni calciatore ha bisogno di una guida, un punto di riferimento tecnico e umano. Nel mio piccolo cerco di esserlo".

Da dove viene Giuseppe Iachini?

"Da una famiglia di operai che non ha fatto mai mancare niente a me e ai miei fratelli. Papà e mamma ci hanno insegnato il principio giusto della vita, riassumibile così: sacrificio, sacrificio e sacrificio. Da ragazzino i primi calci ad un pallone ad Ascoli, la mia città. La solita trafila. E gli insegnamenti di babbo e mamma: costruire qualcosa, magari inventarsela e non restare con le mani in mano. Io non ero Maradona".

Non era Maradona, ma ‘El Pibe de Oro’ lo ha affrontato in carriera …

"Sì, l’ho marcato. Non ero alto, non ero possente, ero uno come tanti altri. Ci ho messo la voglia, il fiato, la passione. Ci ho messo i valori, una parola che uso sempre, perché i valori sono alla base della mia esperienza".

Parliamo della sua famiglia, uno dei suoi principi. Sua moglie …

"Mia moglie si chiama Antonella. È la prima e unica donna della mia vita. Ci siamo conosciuti da ragazzini. Lei aveva quindici anni, io ne avevo diciassette. Ci siamo piaciuti. Ci siamo fidanzati e poi sposati. Abbiamo messo al mondo tre figli".

Una storia d’amore rara di questi tempi?

"Per me è solo normale. Ecco, normalità è un’altra parola che amo molto. Accade che ci siano persone fatte l’una per l’altra. Accade che si incontrino e che condividano lo stesso cammino. Io non molto diverso da quel diciassettenne innamorato? Per fortuna, è saggio rimanere se stessi, dare ascolto al cuore, non rinunciare alla bellezza e all’onestà".

Passiamo ai figli: si reputa un padre preoccupato?

"No, sono un padre con gli occhi aperti. I nostri figli rispecchiano i valori che abbiamo cercato di suggerire più con l’esempio che con le chiacchiere. Sono bravi non perché sono stati costretti da qualcuno. Gli viene naturale. Hanno il papà che va in tv perché fa l’allenatore, ma non si sono mai considerati figli di … Hanno ventisette, venticinque e vent’anni. Gli ultimi due sono pure calciatori. Il terzo è il più bravino. Gli piace uscire con gli amici. È un ragazzo d’oggi".

Dunque non è preoccupato?

"Sono un padre pensieroso come è logico per un uomo con il sale in zucca che vede i problemi dei giovani. Ci sono persone più in alto che decidono. Posso augurarmi che decidano per il meglio, con la concretezza, non coi bei discorsi. A me i bei discorsi non garbano, voglio vedere i fatti. Vorrei che chiunque avesse la possibilità di alzarsi la mattina, per andare la mattina e crearsi una famiglia. La politica ha una grande responsabilità. Il politico è come il prete, come l’allenatore. Il ruolo pubblico comporta impegno, devi dare risposte. Devi lavorare per gli altri. Se vuoi lavorare per te stesso, meglio cambiare mestiere".

Mister, ha giocato per diversi anni alla Fiorentina e ne ha indossato anche la fascia di capitano. A proposito di viola, le piace Renzi, noto tifoso fiorentino?

"Mi sembra uno senza fronzoli, come me. C’è un rapporto di reciproca stima. Mi conosce benissimo. Sono stato per anni capitano della Fiorentina. È che in Italia non si riesce proprio ad andare avanti. Ogni volta che uno ci prova, c’è un altro che si deve mettere in mezzo. Non mi interessano sinistra, destra, alto, basso, magro, grasso, su e giù. Mi interessano le soluzioni serie".

Nella mano destra porta un anello legato alla figura di Papa Francesco, non è così?

"L’anello me l’ha regalato mia moglie. Un grande regalo. Francesco è il papa giusto nell’occasione giusta. Dice cose bellissime con la massima semplicità, con la freschezza dello spirito. Tu le ascolti e pensi: ha ragione. Poi ci ripensi e ti chiedi: era facile, com’è che non ci sono arrivato prima? I grandi uomini sono questo. Indicano una strada che nessuno aveva notato e che era lì, pronta per essere percorsa. Ecco, lui propone un discorso di base, anche nel linguaggio. Dobbiamo stare vicini ai più bisognosi, a chi va aiutato. La fede e la carità sono fondamentali. L’aspetto spirituale è necessario, come le radici di un palazzo o di un albero. Se mancano, crolla tutto".

Lei ha giocato a Palermo e poi sempre a Palermo vi è tornato da allenatore. Nel frattempo è cambiato qualcosa nel capoluogo siciliano?

"Sì, la città è migliorata. Ora ha un respiro europeo. Merito dei giovani e della loro mentalità. Ci sono uomini nuovi e nuove convinzioni".

All’inizio la città ha snobbato la squadra?

"C’era una retrocessione amarissima da digerire. I risultati iniziali non sono stati incoraggianti. Zitti zitti ci siamo rimessi in carreggiata. Abbiamo lavorato in silenzio. Abbiamo costruito qualcosa. Io mi sentivo maturo per il salto in pianto stabile in Serie A. Però a Zamparini non potevo dire di no. Questo è un anno delicato per squadra e società. Il presidente mi ha chiamato: ‘Caro Beppe’. Impossibile rifiutare, per l’affetto verso Zamparini, verso i tifosi e verso la città".