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Focus Palermo, tra le pieghe di un epilogo annunciato: Boscaglia paga, proprietà e dirigenza firmano il festival degli errori

L'esonero di Boscaglia punta dell'iceberg di un progetto tecnico.societario viziato in origine da errori e inconguenze

Mediagol8

foto twitter palermo f.c.

di Leandro Ficarra

La disarmante prova di Viterbo è stata l'ennesima fragorosa goccia di un vaso che già traboccava da tempo.

Paga l'anello non debole, ma certamente più esposto, della catena. Il Palermo ha sollevato dall'incarico il tecnico Roberto Boscaglia.

Prendendo atto di una palese disconnessione tra l'ormai ex allenatore rosanero e buona parte di una squadra troppe volte incapace di essere tale sul rettangolo verde. Un flop sul piano tecnico, con annessa sconfitta, quello maturato all'"Enrico Rocchi", figlio di limiti strutturali, lacune ed incongruenze che hanno zavorrato la compagine siciliana fin dai suoi primi passi in questa tormentata stagione.

Nulla di nuovo sul piano squisitamente calcistico. Il fattore che ha probabilmente scosso il cronico immobilismo della dirigenza rosanero è stato il rovinoso blackout nervoso e mentale del gruppo. Un'aurea perenne di insofferenza e tensione che ha caratterizzato in particolare gli ultimi mesi e la vigilia del match, sfociata nell'accesa discussione tra Almici e Kanoute poi culminata con l'esclusione del senegalese dalla lista dei convocati. Canovaccio perpetrato sul manto erboso dell'impianto laziale, con la doppia espulsione di Almici ed Odjer emblema di un Palermo scialbo, in costante bilico sull'orlo di una crisi di nervi. Un malessere profondo e dalle radici pregresse, evidente e facile da cogliere scrutando espressioni, gestualità, linguaggio del corpo dei calciatori a disposizione di Boscaglia.

Come più volte sottolineato, le responsabilità alla base di un progetto tecnico che al momento presenta connotati fallimentari vanno ascritte in primis alla proprietà ed al binomio dirigenziale composto da Rinaldo Sagramola e Renzo Castagnini.

La coesistenza forzata e tumultuosa delle due anime in seno alla controllante, con annessi screzi dardeggianti e schermaglie pubbliche tra i principali azionisti, non ha certamente contribuito a cementare coesione, unità di intenti e stabilità in seno al gruppo squadra.

L'amministratore delegato ha di fatto avuto in dote le chiavi del club dall'azionista di maggioranza e presidente, Dario Mirri, operando da manager plenipotenziario in ambito amministrativo e gestionale, sovrintendendo in maniera decisiva ogni mossa anche in seno all'area tecnica in sede di allestimento e rifinitura dell'organico. Il dirigente romano, in virtù di carica di pertinenza e fiducia incondizionata assegnatagli dall'imprenditore pubblicitario, ha fortemente caratterizzato con il suo imprinting pianificazione, strategia e operatività del club a tutti i livelli.

Commettendo, per sua stessa pubblica ammissione, significativi errori di valutazione in relazione a spessore e caratura delle contendenti in rapporto alla cifra tecnica della rosa allestita dal club rosanero. Le risorse destinate al potenziamento dell'organico, dopo la cavalcata trionfale in Serie D, non sono state investite in modo oculato e idoneo a legittimare le ambizioni palesate dal club a medio-lungo termine. Programmazione e bilanci previsionali sono chiaramente stati fortemente condizionati dalla recessione economica figlia della pandemia da Covid-19. Attenuante significativa ma parziale, che da sola non basta a spiegare omissioni, falle ed errori nella costruzione della squadra.

Al netto della brillante intuizione legata alla patrimonializzazione del cartellino di Lorenzo Lucca ed all'investimento di prospettiva sul gioiello scuola Roma, Andrea Silipo, la campagna acquisti rosanero non ha registrato particolari e premianti sussulti.

Tra i nuovi arrivati, Valente ha certamente mostrato continuità e buoni numeri per la categoria, Rauti ha evidenziato potenzialità di livello e buon lignaggio ma il suo cartellino è di proprietà del Torino. Almici è stato condizionato nel rendimento da ritardo di condizione ed infortuni, Corrado ha visto il campo davvero poco, Somma e Marconi  nel ruolo di centrali sono apparsi entrambi rivedibili.

In zona nevralgica le principali delusioni, Broh e Luperini, per ragioni diverse, non hanno avuto modo di incidere per come tutti auspicavano, Odjer ha fatto il suo senza incantare. Palazzi ha fatto la spola tra retroguardia e linea mediana, fornendo un contributo lodevole di fosforo e qualità nel primo possesso, ma denotando fisiologici limiti di tenuta difensiva.  De Rose ha irrorato la manovra con un' apprezzabile dose di ordine e geometria ma è appena arrivato.  Kanoute, al netto delle recenti intemperanze disciplinari, raramente è emerso dalla mediocrità generale. Saraniti ha svolto con diligenza e abnegazione il suo ruolo di attaccante operaio al servizio della squadra, fin quando non è stato definitivamente relegato a prima alternativa del bomber millenials, Lorenzo Lucca. 

Tra i reduci dal trionfo in Serie D, Martin, Floriano  e Santana, in virtù di personalità, esperienza e qualità, avrebbero certamente meritato maggiore spazio. Specie in considerazione delle performance di chi li ha a lungo preceduti nelle gerarchie di Boscaglia.

Tanti attaccanti esterni penalizzati da una scarsa confidenza con il gol, l'assenza di un vero trequartista capace di legare il gioco ed impreziosire la rifinitura tra le linee, nessun centrocampista dotato di tempi di inserimento e doti balistiche di rilievo dalla media distanza. Non un vero playmaker reperito in estate sul mercato, né un bomber smaliziato e di livello sotto la cui ala far crescere i talenti del reparto senza troppe pressioni. Probabilmente, esterni bassi e centrali difensivi attualmente in organico non incarnano, per attitudini tattiche e fisiche, i prototipi del ruolo ideali per il credo di Boscaglia.

L'insindacabile verdetto del campo ha fin qui chiaramente bocciato anche linee guida e scelte in ottica mercato anche del direttore sportivo, il quale, in conformità a ruoli e competenze specifiche, dovrebbe aver costruito la rosa,  godendo di una congrua dose di autonomia, di concerto con il tecnico ed in funzione del suo credo tattico. Condizionale d'obbligo, in ragione delle  palesi difficoltà della squadra a metabolizzare il 4-2-3-1, storico dogma tattico dell'ex allenatore del Trapani, nonché delle frenetiche e sisematiche variazioni settimanali dell'undici titolare. Il sospetto che non vi sia stata una totale e aemoniosa condivisione tra le parti nella scelta dei calciatori da integrare in organico diviene quasi una certezza.

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