Il pensiero di Umberto Calcagno.
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Serie A, Calcagno: “Non si può fermare una squadra per 14 giorni. Tutti i calciatori vogliono giocare”
Il vicepresidente dell'AIC ha espresso la sua opinione in merito alla ripresa dei campionati di Serie A e Serie B
Dopo mesi di dialogo tra il mondo del calcio e il Governo italiano, il Ministro Vincenzo Spadafora, la scorsa settimana, ha ufficialmente dato l'ok per la ripresa del campionato di Serie A e di Serie B, che dovranno iniziare seguendo tutte le regole presenti nel protocollo redatto dalla FIGC e revisionato dal Comitato tecnico-scientifico.
Durante un'intervista ai microfoni di Radio Bianconera, il vice presidente dell'AIC, Umberto Calcagno, ha espresso la sua opinione in merito alle fasce orarie selezionate per le partite che verranno giocate nei mesi estivi: "Gli orari e tutto quello che è stato discusso in questi giorni hanno portato a un miglioramento delle condizioni per giocare, il fatto che ora ci siano sole 10 partite il pomeriggio e che si giochino alle 17:15 vuol dire che un problema c’era ed è stato affrontato. Non si giocheranno partite al Sud in quell’orario, credo che si sia trovato un buon punto d’incontro perché la salute dei calciatori sta a cuore a tutti, soprattutto in un periodo in cui bisogna giocare ogni tre giorni".
Uno dei punti più discussi è stato l'obbligo di mettere tutta la squadra in quarantena nel caso in cui anche un solo giocatore risultasse positivo al tampone per il Coronavirus: "Noi auspichiamo che la situazione in Italia continui a migliorare come stiamo vedendo in questi giorni. Speriamo che la prossima settimana i contagi siano ancora migliori rispetto a questa. Nessuno ha mai chiesto di essere decontestualizzati o di avere misure differenti, ma è impensabile che non ci sia un calciatore che nell’arco di queste partite non contragga il virus, anche solo viaggiando. Una squadra ferma per 14 giorni provocherebbe dei problemi insormontabili".
Infine Calcagno ha risposto alle voci che parlavano della paura dei giocatori nel tornare in campo: "Dipende che significato si dà al non voler giocare. C’è chi ha contratto il virus o chi vive e gioca in città molto colpite. C’era una percezione differente, ma non credo ci sia mai stato nessuno che abbia detto di non voler giocare. Chiaro che affrontare una ripartenza in qualunque categoria non è semplice. Chi ha vissuto da vicino il virus magari ha una percezione differente. Anche noi viaggiamo tanto per lavoro, sicuramente in base al carattere si affrontano diversamente certe situazioni. C’è poi una soggettività che riguarda l’individuo".
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