Asso del calcio francese ed internazionale, al pari del connazionale Michel Platini, Zinedine Zidane è stato tra i calciatori d'oltralpe più vincenti ed esploisivi tecnicamente. 15 trofei di squadra vinti in campo, altri 11 messi in bacheca nelle vesti di allenatore. Giocate di alta classe, gol, sorrisi, e qualche sfuriata, come in occasione della testata a Materazzi nella finale dei Mondiali di Germania 2006 persa contro l'Italia. Emozioni che hanno caratterizzato la carriera di Zinedine Zidane vincitore, tra l'altro, del Pallone d'Oro nel 1998 nella sua esperienza in Serie A con la maglia della Juventus. Nel corso di una lunga intervista rilasciata a L'Equipe, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, l'ex centrocampista bianconero, oltre che di Bordeaux e Real Madrid, ha parlato della sua esperienza calcistica sia da atleta in campo che nelle vesti di allenatore, alla guida del Blancos.
I 50 ANNI DI ZIZOU
Zidane: “Premier League? No per un motivo. Real Madrid, Perez e quel tovagliolo…”
IL MONDIALE DI FRANCIA '98 -Se il 1998 è stato l'anno migliore della mia carriera da giocatore? I primi sei mesi fino alla finale, non gli ultimi sei. Dopo la Coppa del Mondo, sono stato catastrofico! I miei amici mi dicevano che alla Juve era tornato il cugino del vero Zidane, ma quando vinci un grande titolo come il Mondiale tendi a rallentare e rilassarti. Dopo gennaio ho ricominciato e mi sono ripreso definitivamente per la stagione 1999-2000, con l'apotesi della vittoria dell'Europeo. Il 1998 è stato il mio anno, ma penso che il 1999-2000 sia stata la mia stagione migliore. Non solo per me. Per tutta la nostra generazione francese".
GLI ANNI AL REAL MADRID -"Eravamo insieme al presidente Florentino Perez a un grande tavolo a Monaco per una cena di gala. Non eravamo uno accanto all'altro, ero stato invitato a ricevere un premio. Lì mi porge un tovagliolo con su scritto: "Vuoi venire?" E io gli ho risposto: “Yes”. Mi chiedo ancora perché gli ho risposto in inglese ! Avrei potuto mettere “oui”, visto che parla francese, o “si” in spagnolo, ma ho messo “yes”… È andata così". LA prodezza al volo, in finale di Champions League contro il Bayer Leverkusen? Non so se sia stato il gol più bello della mia carriera, certamente uno dei più importanti. Mi serviva per vincere la mia prima Champions League. Avevo già perso tre finali europee, la quarta non potevo lasciarla scivolare via. Vincerla da giocatore e da allenatore è diverso, ma è tutto meraviglioso. Non è mai fortuna: è lavoro. Da mister ho lavorato come un matto, abbiamo lavorato tantissimo e i miei giocatori hanno creduto in me. Da giocatore dopo l'allenamento del mattino te ne vai a casa e finisce lì, da allenatore pensi sempre al campo. Io quando faccio qualcosa è per vincere, altrimenti non lo faccio. Non sempre ci riusciamo, ma faccio di tutto per questo. Quando vinco non mi stupisco perché ho dato tutto. Ho lavorato. E quando lavori hai diritto ad essere premiato. La Champions più bella? Forse quella contro la Juventus... non l'avevo mai vinta con loro da giocatore".
FUTURO ED OBIETTIVI -"Sono un tipo istintivo, non mi piacciono le cose fisse dicendo che domani farò questo o quello. Ad esempio ero un allenatore ma non volevo farlo tutto il tempo, quindi ho detto basta. E riprenderò quando mi sentirò di nuovo pronto - continua il francese -. Voglio comunque continuare ad allenare e poi far parte di un progetto in cui io stesso sono il leader, come il presidente di un club o il leader di un'azienda. Spero un giorno di diventare Ct della Francia. Il quando non dipende da me, ma voglio chiudere il cerchio con la Nazionale. Oggi c'è una squadra, con un allenatore e i suoi obiettivi. Ma se si presenta l'occasione, allora ci sarò. Da marsigliese, allenare il Psg? Mai dire mai. Quando sei un allenatore non ci sono cinquanta club dove puoi andare, solo due o tre possibilità. Se vado in un club è per vincere, ecco perché non posso andare in qualunque squadra. E poi ci sono altri motivi, come la lingua. Quando mi dicono: "Vuoi andare a Manchester?"... capisco l'inglese ma non lo padroneggio completamente. So che ci sono allenatori che vanno nei club senza parlare la lingua, ma io lavoro in modo diverso".
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