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L'INTERVISTA

Biffi: “Nessuno tocchi Palermo, ho difeso maglia e città. Futuro? Parlato con Mirri”

Biffi

L'intervista esclusiva concessa da Roberto Biffi, ex capitano del Palermo ed icona rosanero, alla redazione di Mediagol.it

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Una bandiera vera e fiera, simbolo e gladiatore di un calcio che non c'è più. Roberto Biffi è stato capitano, profilo iconico, leader tecnico e carismatico, di un Palermo che  si dimenava tra Serie C e Serie B in profonda simbiosi, calcistica ed emotiva, con tifoseria e città. Un legame viscerale ed indissolubile, umano ancor prima che professionale, cadenzato da ben undici stagioni ricche di gioie e amarezze, trionfi e cocenti delusioni, contese epiche sul rettangolo verde e spettacolo di colori e passione sugli spalti dell'allora "Favorita". Ben 321 volte il centrale difensivo milanese ha vestito la maglia rosanero, divenendo idolo e beniamino assoluto del pubblico che aveva a cuore le sorti del Palermo. Il recordman di presenze nella storia della società siciliana ha concesso un'intervista esclusiva, tra passato, presente e futuro, alla redazione di Mediagol.it.

Intervista realizzata da Leandro Ficarra

"Punizioni e gol propiziati dai miei tiri? Si è vero, oltretutto allora c'era una regola per la quale bastava che tu tirassi una punizione e chi usciva dalla barriera la sfiorasse in porta, era purtroppo un'autogol. Io nella mia carriera ne ho contati tanti gol non convalidati effettivamente a me, almeno  sei o sette volte mi è capitato che omologassero l'autorete anziché assegnarmi il gol. In questo momento, invece, basta che uno tira nello specchio della porta, anche se la palla è nettamente deviata, concedono il gol al giocatore che ha calciato. Quando sono arrivato a Palermo ero molto giovane ed avevo tutta una carriera davanti, che si è poi prospettata importante, soprattutto con la maglia rosanero. Non pensavo che potesse succedere una cosa del genere, ero ancora un giovane tutto da scoprire, sono stati bravi gli allenatori che ho avuto nel corso della mia carriera a darmi la giusta convinzione, l'allenamento stesso ti fa crescere, fai esperienza e alla fine sono diventato un difensore che amava non solo difendere ma anche impostare ed attaccare. Mi piaceva uscire palla al piede e quelle volte che ci riuscivo erano applausi, ma ci sono state anche tante volte che perdevo palla e me ne dicevano di tutti i colori (sorride, ndr). Poi c'erano anche quelle volte in cui calciavo e come si suole dire a Palermo, "riuscivo a 'nzirtari a puaitta" (centravo lo specchio della porta), erano "fatti amari" per i portieri insomma. Mio colloquio con Mirri in prospettiva futura? Il presidente in più di un'occasione mi ha detto che per loro è importante a livello progettuale riuscire a finire il centro sportivo di Torretta. Nel momento in cui la nuova casa del Palermo aprirà le sue porte per ospitare la prima squadra e le altre formazioni giovanili rosanero, ci sarà la possibilità che io possa tornare ad essere un tesserato rosanero nello staff tecnico della "cantera" e coronare un sogno. Cessione del club? Di questo non ho mai parlato con il presidente Mirri, anche perché l'ultima volta che sono venuto a Palermo è stato lo scorso maggio, nel playoff vinto contro il Teramo, e quindi ancora la situazione non era ancora così avanti. Non si sa cosa possa uscire da questa trattativa che leggo essere ben avviata, sono tutte cose che verranno col tempo. Mirri lo sa, io sono qui che aspetto, non metto alcuna fretta, dovesse farmi questo regalo sarei la persona più felice di questo mondo, ma no perché io sia alla ricerca di una occupazione. Io ho il mio modo di vivere il calcio, però è normale che per il Palermo farei un grosso sacrificio, il Presidente sa benissimo che non si tratta di questioni economiche. io non sono stato un campione, lo dico col cuore in mano, quando toccavano però i miei compagni o la società mi dava troppo fastidio e reagivo magari in maniera spropositata, spesso facevo infuriare i miei dirigenti. L'allora presidente Ferrara, poverino, si è esaurito a stare dietro ad un personaggio come me (sorride, ndr). Volevo che la smettessero di infamarti sempre, specie quando andavamo fuori e venivano fuori i luoghi comuni beceri, ci apostrofavano con l'appellativo di mafiosi, cose che davano a dir poco fastidio. In questo momento storico, il calcio italiano punisce chi dice determinate cose, all'epoca non era affatto così. Tu venivi sempre insultato facevi parte di una squadra del sud, sia che fosse il Palermo o magari un'altra società, però mi dava fastidio, nonostante io sia nato a Milano e sono originariamente un uomo del nord. Io in quel momento difendevo la mia società, i miei colori e la mia città. Col passare del tempo io mi sento più palermitano che milanese, sono andato via da casa che avevo quattordici anni". 

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