Sono state rese note le motivazioni con cui la seconda sezione della Cassazione ha respinto il ricorso presentato dai legali di Mauro Lauricella, rendendo definitiva la condanna a sette anni di reclusione e 2.200 euro di multa, che è stato riconosciuto colpevole di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Il figlio del boss della Kalsa, Antonino Lauricella, detto “U Scintilluni,” aveva recuperato una somma per conto dell’ex fisioterapista del Palermo, Giorgio Gasparini, su richiesta di Fabrizio Miccoli.
Le motivazioni
Miccoli, motivazioni condanna Lauricella: legale vuole adire Corte Giustizia Europea
Le motivazioni con cui la seconda sezione della Cassazione ha respinto il ricorso e reso definitiva la condanna a 7 anni per Mauro Lauricella
Andrea Graffagnini, gestore della discoteca Paparazzi, fu costretto da Lauricella «con minaccia anche assistita da metodo mafioso e dall'apporto di più persone riunite, a consegnare una somma di denaro da questi non dovuta a Giorgio Gasparini (ex fisioterapista del club rosa, ndr) fungendo da mediatore nel rapporto di credito vantato da quest'ultimo nei confronti di altri soggetti (Pietro Cascione e Carlo Zambianchi), trattenendo per sé una parte della somma ottenuta dalla persona offesa e dai debitori del Gasparini», riporta l'edizione odierna del noto quotidiano "Giornale di Sicilia".
Inoltre, il contenuto di alcune conversazioni telefoniche avrebbero fatto sì che il ricorso del figlio del boss Antonio Lauricella fosse respinto. In particolare, nella sentenza si fa riferimento «a due conversazioni intercettate (una del 13 febbraio del 2011 e l'altra del 30 marzo 2011) nelle quali era lo stesso imputato a riferire alla persona offesa di avere intascato somme da consegnare a Gasparini ammontanti ad almeno 10 mila euro, confidando alla propria madre di avere trattenuto per sé quattromila euro. Quanto alla sussistenza della minaccia, il ricorrente non fa alcun riferimento - annotano i giudici - a quanto precisato nella sentenza impugnata, laddove la Corte ha sottolineato che da una conversazione intercettata risultava, per bocca dello stesso imputato, che in uno degli incontri preliminari alla riunione decisiva avvenuta nel retrobottega di un ristorante del quartiere Kalsa, egli aveva usato anche violenza fisica nei confronti di Graffagnini finalizzata all'ottenimento del pagamento per la questione di interesse», si legge sul noto quotidiano che riporta le motivazioni con cui la seconda sezione della Cassazione ha respinto il ricorso e reso definitiva la condanna a 7 anni per Mauro Lauricella.
La condanna poggia anche sulla circostanza, «concordemente riferita dalla persona offesa Graffagnini, dal teste oculare Ivano Sottile e dal dialogo tra Lauricella e Miccoli, secondo cui alla riunione della Kalsa erano presenti alcuni personaggi di alta caratura criminale e mafiosa (persone grandi, anche le indicazioni dei nominativi di alcuni di loro contenuti nella sentenza impugnata in quanto riconosciuti dagli astanti), uno dei quali, non identificato con certezza, era intervenuto per risolvere la questione facendo espresso riferimento al fatto di trovarsi in quel luogo in quanto chiamato dall'imputato (e non da altri) ed in ragione della sua amicizia con il padre di quest'ultimo, soggetto pacificamente appartenente all'associazione mafiosa Cosa nostra in quel momento latitante».
La Cassazione fa sua la linea della Corte d’appello pure sul «fatto che l'imputato avesse appositamente costruito, nella specifica situazione ambientale di riferimento, un "contesto mafioso", facendo leva su di esso per ottenere dalla vittima e dagli altri debitori il risultato sperato, così utilizzando, neanche troppo implicitamente, il metodo mafioso sanzionato dall'aggravante di cui all'articolo 416-bis. La provata circostanza, attraverso testimoni oculari, rende inconsistente la valorizzazione di quanto poteva aver ascoltato un testimone di polizia giudiziaria non direttamente partecipe alla discussione».
L’avvocato Giovanni Bonsignore, difensore di Lauricella, fa sapere che leggerà «attentamente, unitamente all’avvocato Angelo Barone, la sentenza emessa dai Supremi Giudici per valutare l’eventuale sussistenza dei presupposti necessari per adire la Corte di Giustizia europea», chiosa il Gds.
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