di Benvenuto Caminiti
serie b
Il Palermo che incanta e la nuova Fila 19: l’ala dell’eterna giovinezza e il sussulto inebriante della vita…
Trepidazione, emozione e gioia per una vittoria brillante che vale il primato. La sfida tra Palermo e Pescara vista con gli occhi e vissuta col cuore dal giornalista e scrittore, Benvenuto Caminiti...
Questa è la NUOVA FILA 19 che, da inizio campionato, fa faville in Tribuna Stampa prima, durante e dopo ogni partita del Palermo.
È nata dalle ceneri della prima Fila 19, quella che poteva contare anche su Simone, Luca, Mariano e Vincenzo, da me letteralmente inventata all’indomani della prima retrocessione dell’era Zamparini. Quella che fece da cornice e controcanto al Palermo dei Dybala, Vazquez, Lafferty, Belotti – tanto per citare solo l’attacco – con Iachini alla barra di comando, protagonista inarrestabile della cavalcata che ci riportò subito in serie A.
Ebbene, il Palermo di oggi, pur non potendo disporre di un organico di quel livello, con Stellone in panchina sta facendo perfino meglio.
Nel voler riesumare la Fila 19, così da rinominarla NUOVA FILA 19, non ho minimamente pensato ai rischi che correvo: troppo forte la precedente per ritrovarne lo smalto e ripercorrerne le orme.
Invece…
Invece, eccoli Max, Benny, Leo e Roby: i primi due, ventenni o poco più, poi c’è il quarantenne Leo, autentico lord, cuore grande e occhio di lince, ed infine Roby, trentacinquenne, poco più o poco meno, di saggezza e temperanza.
Sono i miei baldi “picciotti”, sono loro che, nelle due ore che passiamo insieme a spasimare per il Palermo mi fanno sentire ancora volare sulla testa la dolce ala della giovinezza.
Non finirò di ringraziarli che quando sarò costretto a “finire” io… Più tardi che mai, specie se tutti e cinque insieme con la nostra passione intemerata e il nostro tifo che non conosce frontiere, saremo sempre capaci di spingere il Palermo sempre più… oltre la siepe.
Guardateli in questo stupendo selfie di Roby: in fondo, con quella montagna di riccioli più neri della dantesca “selva oscura”, c’è Max, che sovrasta il gruppo con un tale empito da farlo sembrare un “mucchio selvaggio”; poi, Benny, l’altro ragazzino fuori corso della Fila: ha qualche anno di più e lo spende per dargli un freno, se no quello parte per la tangente. Loro tifano in simbiosi, ridono e si divertono durante la partita, pur non smettendo un istante di lavorare. Sì, lavorare perché loro due, come Leo, il loro vicedirettore ed al contempo coordinatore, sono lì per “vuscarisi u pani” e quindi, guardano la partita, tifano, urlano e strepitano e, nel frattempo, non smettono di digitare sui loro pc e raccontare, ai lettori di Mediagol, quel che succede in campo, azione dopo azione. Un “chiffari” articolato e complicato che, tuttavia, svolgono con estrema diligenza e massimo spirito di servizio. D’altronde, non potrebbero fare altrimenti perché l’occhio professionale e vigile di Leo incombe, goliardico e bonario ma senza tregua, su di loro.
A guardarli in questa foto così ebbri di gioia, non li si direbbe reduci da un lavoro (lavorio) così frenetico, intenso e delicato. C’è solo da restarne ammirati, come faccio dopo ogni partita, ripensando a quando io, alla loro età, me la spassavo tra gli ultras in Curva Nord e pensavo solo ad essere alla loro altezza in fatto di tifo, passione e dedizione alla causa.
Accanto a loro, a marcarli stretti, c’è Leo, il vicedirettore di Mediagol: lavoratore instancabile, prezioso compagno di fila e amico, tifoso appassionato e tuttavia strenuamente impegnato nel suo lavoro. Leo di occhi ne ha almeno quattro: quelli di… ordinanza gli servono per seguire la partita, deve scrivere il suo pezzo, e i due picciotti, gli altri, quelli speciali, gli servono per tenere a freno le mie scorribande da ultrà. Nella foto, anche la sua gioia si può toccar con mano, così come si percepisce l’innato senso di responsabilità non solo nei confronti dei suoi giovani collaboratori ma anche – se non soprattutto – verso il vecchietto indomabile che gli siede accanto. E che folleggia come un ragazzino ai primi sussulti della vita, le due braccia levate in alto, indice e medio di entrambe le mani protesi nel segno della vittoria e chissenefrega se, così facendo, tutti possono vedere le sue dita artritiche, storte e ingobbite.
E infine, Roby ultimo ma non ultimo, il più buono, generoso compagno di tifo che ho incontrato nella mia lunghissima milizia vissuta negli spalti fra i tifosi. Ultras, e non solo: il suo sorriso dice già tutto, non c’è bisogno che io ci canti e controcanti un qualsivoglia elzeviro.
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