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LE DICHIARAZIONI

Giuseppe Barbera: “Io, papà Renzo e quelle finali. Padova-Palermo…”

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Il figlio dello storico presidente del Palermo Renzo Barbera ricorda aneddoti ed altre finali giocate dal Palermo in passato

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"La partita da vincere secondo me, sarà quella a ottocento metri da casa mia, nello stadio che porta il nome di papà. Stasera a Padova sento che finirà in pareggio". Lo ha detto Giuseppe Barbera, intervistato ai microfoni de "La Repubblica", edizione Palermo. Il figlio del "presidentissimo"Renzo Barbera, oltre ad azzardare un pronostico in vista della finale d'andata dei playoff di Serie C fra il Padova e i rosanero, ha ricordato le altre finali che hanno visto protagonisti il Palermo in passato. Ma non solo...

"Ho assistito a due finali di Coppa Italia, tirato per i capelli da papà e da mio fratello Ferruccio. Nel ’74 all’Olimpico, contro il Bologna e nel ’79 al San Paolo a Napoli contro la Juventus. Penso che i particolari siano noti a tutti, con un irresistibile Gigi Burruano che trascinava i tifosi sul ponte della nave che li trasportava. Momenti che non ho vissuto ma che mi sono stati raccontati nel dettaglio. Ma la notizia vera di quelle due sfortunate finali di Coppa Italia è che tutta la famiglia Barbera che si muoveva e partiva con i tifosi era un po’ come la famiglia reale in trasferta. Visibile e ben vestita. C’era anche mia madre Giuliana, costretta suo malgrado, e mia sorella Ialù. Mia madre non ha mai capito la passione per il calcio. Noi guardavamo le partite della Nazionale al televisore e lei osservava sgomenta la nostra partecipazione emotiva. Ma lei c’era sempre, la signora Giuliana condivideva tutto del presidente. La terza finale, con l’Inter di Mourinho all’Olimpico, l’ho vista in tv. Ma io ho l’obbligo di tenermi informato, anche se non ho lo stesso slancio emotivo che aveva mio padre, perché qualcuno può trascinarmi in uno studio televisivo o mi può intervistare e mi tocca dire la mia", le sue parole.

PALERMO-PADOVA AL BARBERA -"No, non andrò a vedere Palermo-Padova. L’ultima volta che sono andato allo stadio è stata due giorni dopo la scomparsa di Ferruccio. Era un Palermo-Lecce finito 1-1. Una brutta partita. Ma ero totalmente emozionato dal calore dei tifosi. C’era un tripudio di cori e striscioni in memoria di 'Ferro'. Era un riconoscimento per tutto l’impegno profuso dalla famiglia. Poi non sono più andato. Ma il calcio continuo a seguirlo. Il ritorno alla Favorita sarà una di quelle partite che deve essere seguita con gran passione. Come quelle che seguiva mio padre, con mia madre stremata, pronta a sacrificarsi, mischiando un sentimento di gioia e dolore, perché papà non aveva una salute ottimale e Ferruccio gli faceva da spalla, e mio cugino Antonello Perricone, grande appassionato di calcio, adesso nel Palermo di Mirri a continuare una lunga, grande storia rosanero".

BARBERA E IL CALCIO -"Col calcio c’era un rapporto conflittuale? Devo dire che io non lo praticavo, a differenza di Ferruccio che aveva un fisico più dotato del mio. Era più robusto di me. Lui era nella squadra del Gonzaga, sia alle medie che al liceo. Indossava la maglia numero undici. Io avevo le gambe inesorabilmente magre e non giocavo. Credo che sia stato uno dei traumi della mia adolescenza. Lui era al centro dell’attenzione, richiesto come giocatore, a me non mi filava nessuno. A mio padre, che non mi fossi molto interessato al calcio non lo preoccupava molto. A lui bastava che io studiassi, che diventassi una persona seria. Ogni tanto mi incrociava nei cortei, io urlavo slogan e reggevo striscioni, ma la cosa non lo infastidiva, potevo pure fare la rivoluzione. Credo che comprendesse perfettamente cosa voleva dire essere giovane in quegli anni. Andavamo allo Zen e ai Cantieri navali a fare propaganda politica e lì venivo riconosciuto dagli operai come il figlio del Presidente e andava a finire sempre allo stesso modo con la stessa richiesta: 'Ma non è che hai un biglietto per la prossima partita?'. Certo ogni tanto penso che gli arrivassero segnalazioni dalla questura, perché avvenivano perquisizioni e schedature, ma sapeva che erano poca cosa. Segnalazioni quasi benevoli".

I RICORDI -"Negli anni ’70 ho fatto anche un po’ di teatro con Michele Perriera e Salvo Licata. Erano gli anni del teatro praticato nei seminterrati e in spazi spesso improvvisati. Ho recitato in Morte per vanto e Macbeth. E spesso si finiva per parlare del Palermo. Con Perriera che mi raccomandava di recapitare messaggi a casa: devi dire a tuo padre che deve fare giocare Ballabio!». Ferruccio non mancava una partita, anche in trasferta. Io ho cercato di seguire la squadra quando ho studiato per un anno a Milano. Sono andato a seguire la squadra un paio di volte, a Brescia e a Pisa. Era anche un modo per incontrare papà. Con i giocatori c’era un bellissimo rapporto, ogni anno si organizzava una festa dedicata a loro e ai familiari. E la nostra casa di Pantelleria era spesso prestata ai giocatori per le vacanze, senza nulla togliere a noi. Con alcuni giocatori il rapporto era più intenso. Penso a Ignazio Arcoleo che appartiene a una storia precedente. Papà veniva da una realtà calcistica che era la Juventina, una squadra che giocava in un campo di via Resuttana circondato da agrumeti, un campo sotto casa, con i giocatori che erano in parte della borgata. Era il campo in cui giocava anche la Bacigalupo. Un calcio da dimensione familiare, che odorava di pomata alla canfora impiegata per sciogliere e scaldare un po’ i muscoli. E del tè caldo con lo zucchero che si distribuiva nell’intervallo. E poi c’era Tanino Troja di Resuttana. Era un calcio di polvere e sudore".

ANNI SETTANTA -"Era un calcio completamente diverso da quello attuale. Lo stadio era ancora quello ad unico anello, prima dell’ampliamento dei Mondiali, e i tifosi erano animati da una passione che li portava a compiere gesti un po’ folli come gli assedi ai muri di cinta per non pagare il biglietto. Si facevano piramidi umane per superare il muro. C’erano palermitani che scavalcavano qualsiasi ostacolo pur di vedere la partita. Ma rischiavano di sfregiarsi per i cocci di vetro e le lance metalliche che c’erano in cima. Superato il muro era fatta, non c’erano più controlli. Un po’ di nostalgia per quel calcio degli anni Settanta? Assolutamente sì. Certo, il calcio continuo a seguirlo, sono affranto perché l’Italia non farà i Mondiali. Ma il calcio che ho conosciuto e che mi ha appassionato era un altro, con undici giocatori che scendevano in campo e se un giocatore si faceva male restava in campo, magari zoppicante ai bordi del campo e si metteva all’ala perché non si poteva cambiare, così come non si poteva cambiare il portiere. Adesso è tutto cambiato e mi sembra tutto un videogioco", ha concluso Barbera.

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