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Mirri: “Porterò nel calcio le mie certezze morali, il Palermo appartiene a tutti. Mio zio Renzo Barbera…”

L'intervista al presidente del club rosanero, Dario Mirri: "Sono un imprenditore e gestirò la società in attesa di un ritorno economico. Sono convinto che dopo Juve, Milan, Inter, Napoli, e le due romane ci sia il Palermo"

Mediagol97

La parola a Dario Mirri.

Il presidente-tifoso del "nuovo Palermo" targato Hera Hora, intervistato da Il Corriere dello Sport, si racconta ed illustra le proprie idee e programmi futuri per la crescita del club rosanero, soffermandosi inoltre sulla propria rivoluzione morale che vuole far diventare la società siciliana "la casa dei tifosi". Di seguito le dichiarazioni rilasciate dal proprietario di Damir ai taccuini del noto quotidiano sportivo nazionale in merito a questi ed altri temi.

Le riporto una sua frase: "Lotterò con le mie convinzioni, nella vita ce l'ho sempre fatta". Non le sembra troppo facile?

"Porterò nel calcio le mie certezze morali. Sicuro che, quando le grandi società ci scopriranno, finiranno per capire. Il mio sogno è quello che si adeguino al nostro modello partecipativo, d'identità e di sostenibilità. Vendono a trenta o quaranta milioni giocatori che non hanno quel valore e mi viene il dubbio che nei bilanci delle società ci possa essere quello che c'era nel Palermo. Il calcio non deve più lasciare lasciare dubbi e problemi".

Facciamo un passo indietro. Il mito di Mirri bambino?

"Mio zio, Renzo Barbera appunto, che era al di sopra di ogni sospetto, una persona che dava e riceveva affetto: i suoi modi m'incantavano".

Le prime immagini di una partita?

"A quattro anni, Palermo-Brindisi, con incidenti, rimasi sconvolto, ma frenai mio padre che voleva portarmi via. A dieci, la finale di Coppa Italia, a Napoli, contro la Juventus. Per il Palermo ho pianto due volte, quella fu la prima. Poi, contro la Triestina per la promozione in A. Ma erano lacrime di gioia dopo tante sofferenze e umiliazioni come la radiazione".

Quel giorno dunque amava Zamparini!

"Mai. Lo vedevo diverso da zio Renzo. Ne apprezzavo i risultati, i campioni, ero il primo ad andare in trasferta, seguivo le Coppe e a Barcellona, confidai ad un suo collega che ci rimase male: 'Da lui, non mi sento rappresentato'".

La sua "rivoluzione" in cinque punti.

"Prima cosa, la società appartiene a tutti. Più che il proprietario del Palermo, sono il temporaneo gestore di un bene collettivo. Questo ritiro, questa prima amichevole, le nostre iniziative lo confermano. Porto addosso una responsabilità gravosa. So bene che ogni selfie, ogni pacca è un debito. La seconda, il fatto che la gente debba partecipare".

Andiamo avanti. Terzo comandamento?

"Spiegare chiaramente che sono un imprenditore e gestirò la società in attesa di un ritorno economico. Sono convinto che dopo Juve, Milan, Inter, Napoli, e le due romane ci sia il Palermo".

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