"Il pallone prima di tutto è passione, poi è diventato un lavoro perché è quello che dà da mangiare a me e alla mia famiglia. Diventare calciatore è sempre stato il mio sogno insieme a giocare in serie A e in nazionale".
serie d
Mauri: “Io al Milan come fratello di mio fratello, in Argentina era diverso. L’esperienza all’Akragas…”
"Ho fatto solo una settimana a Milano, poi sono andato subito all'Akragas. Non parlavo l'italiano e mi sentivo smarrito. A Milanello ho fatto amicizia con Vergara, un difensore colombiano che mi ha fatto sentire meno straniero"
Inizia così la lunga intervista rilasciata ai microfoni de La Repubblica da Juan Mauri, centrocampista argentino in forza al Palermo. Tredici presenze con la maglia rosanero tra campionato e Coppa Italia, ma anche un gol (rigore col Marsala, ndr) e un assist. L'ex regista della Lucchese ha poi proseguito: "Non ci avevo mai pensato prima d'ora, ma in effetti quasi tutti questi sogni sono diventati realtà. Mi è mancata la nazionale, ma diciamo che ci può stare (dice ridendo, ndr)".
Il suo arrivo in Italia è stato abbastanza particolare, con Mauri che è arrivato al Milan dove giocava il fratello José: "Ho fatto l'esordio in B nel club Olimpo in Argentina a 18 anni e abbiamo vinto il campionato, in A e senza essere titolare ho fatto una quindicina di partite. Un giorno il presidente mi ha detto che mi avrebbe venduto, ma io volevo rimanere, pensavo che sarei potuto diventare importante per il club e magari la società avrebbe guadagnato anche di più. Stavo bene in Argentina, giocavo, volevo crescere ancora prima di partire. Ma il procuratore di mio fratello, Dino Zampacorta, voleva portarmi in Italia. E invece da un momento all'altro sono stato fatto fuori squadra nonostante avessi un triennale. Avevo una ventina d'anni e il morale sotto i tacchi. Ho iniziato a girare per l'Argentina, poi sono stato sei mesi in Spagna e alla fine sono arrivato in Italia diventando il fratello di mio fratello".
Pochi giorni a Milano, poi la partenza per la Sicilia direzione Agrigento: "Ho fatto solo una settimana a Milano, poi sono andato subito all'Akragas. Non parlavo l'italiano e mi sentivo smarrito. A Milanello ho fatto amicizia con Vergara, un difensore colombiano che mi ha fatto sentire meno straniero. Ad Agrigento invece c'erano due argentini e un uruguaiano ed è stato tutto più facile. Se pensavo che sarebbe finita così? Sapevo solo che sarei arrivavo in Italia, ma non sapevo dove sarei andato. Poi la telefonata: vai ad Agrigento. Ma non conoscevo nulla, per me contava solo quello che sarei riuscito a dimostrare. E tutto sommato è andata bene, visto che ho la residenza lì e mi ci sono anche sposato con Camila, una ragazza argentina che viene dalla mia stessa città, Realicò. Sono quasi agrigentino".
Il classe 1988 è un ragazzo con la testa sulle spalle e dedito al lavoro ed al sacrificio: "Ho visto poco della Sicilia. Non sono uno che ama girare tanto e mia moglie se la prende perché lei vorrebbe farlo. Viaggio tanto per le trasferte, ma appena posso preferisco rimanere a casa. Capisco che sembra strano, ma sono venuto in Italia per lavorare, per fare calcio, non per fare il turista. Appena posso torno in Argentina, nella mia città, che sarà anche piccolina, ma per me è il posto più bello che c'è. A volte mia moglie non vorrebbe tornare in Argentina. A lei forse piacerebbe un altro tipo di vita, ma io preferisco stare a casa, fare una grigliata con gli amici, una partita a calcetto. Lei tutto il contrario".
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