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Bombardini: “Totti stanco di non incidere da dirigente alla Roma. Le cene a casa Cassano e la Ferrari di De Rossi. Guardiola a tavola….”

L’intervista esclusiva concessa da Davide Bombardini, ex di Palermo, Roma, Atalanta e Bologna, ai microfoni di Mediagol.it

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Un vero e proprio viaggio tra i ricordi.

Ex calciatore con diverse ed intense esperienze maturate in Serie A, B e C, Davide Bombardini ha iniziato la sua carriera calcistica nell'Imola nella stagione 1991-1992. Prima del trasferimento in quel di Palermo, società nella quale ha militato per ben tre stagioni e con cui ha conquistato la storica promozione in serie cadetta nel 2001, ha collezionato varie presenze in Serie C1. Successivamente, la svolta: nel 2003, l'ex esterno offensivo originario di Faenza è approdato alla Roma. Un salto triplo prematuro, ma suggestivo, nel momento topico della sua carriera. Un'avventura dal punto di vista umano molto significativa, ma non altrettanto gratificante sotto il profilo professionale. Catapultato forse troppo in fretta in una dimensione calcistica di primissimo livello come quella del club giallorosso, pur molto stimato da ambiente e compagni, il classe 1974 non riuscì a ritagliarsi lo spazio auspicato ed a scalare le gerarchie dell'allora tecnico capitolino Fabio Capello. Intervistato in esclusiva ai microfoni di Mediagol.it, l'ex Palermo ha ricordato i legami di stima ed amicizia instaurati con i profili simbolo del club giallorosso ed i numerosi aneddoti condivisi con i diversi top player passati dalla Capitale.

""Totti? Lo vedo ogni volta che c'è un Inter-Roma o Milan-Roma a San Siro e da quello che mi ha raccontato si era stancato di stare a Roma e di non poter fare nulla, in termini strategici e operativi, per aiutare in ambito dirigenziale la società della quale è stata la più importante delle bandiere. Oggi è comunque molto difficile lavorare con autonomia da dirigenti in società calcistiche, lo abbiamo visto anche con Maldini al Milan. La scelta che ha fatto Francesco di mettersi in proprio ed aprire due società di consulenza sportiva e management, ha fatto sì che il suo percorso professionale dipendesse esclusivamente da lui e non da altri soggetti. A Roma, durante la mia esperienza da calciatore, i big della squadra mi hanno riservato fin da subito un'accoglienza calorosa, considerate anche le buone credenziali e grosse aspettative che c'erano nei miei confronti: tutti si attendevano tantissimo calcisticamente da me. Frequentavo spesso Totti e Cassano, eravamo gli unici single dalla squadra. Francesco è sempre stata una persona molto tranquilla, pacata e buona d'animo, una meta costante era casa di Antonio dove abitava anche la madre che spesso preparava cene squisite, ricordo ancora delle magnifiche porzioni di lasagne. Io ne approfittavo per prendere in giro Antonio in merito al suo peso, erano serate divertenti e piacevolissime e ci insegnavano anche qualche parola in barese", sono state le sue dichiarazioni

"DA DE ROSSI A GUARDIOLA - "De Rossi arrivava dalla Primavera e si affacciava nell'orbita della prima squadra. Ricordo che mi diceva insistentemente che se fosse diventato un professionista di alto livello, come prima cosa, si sarebbe addirittura regalato una Ferrari; lo sentii anni dopo e arrivai a scoprire che aveva realizzato molti dei suoi desideri tranne quello di comprare quella splendida macchina, e ogni volta che glielo ricordavo finiva sempre a ridere. Daniele è un ragazzo che si è sempre fatto trasportare dai sentimenti, che sentiva quella maglie e le partite in modo viscerale e profondo, specialmente quando si trattava di difendere i colori della Roma. Rispetto a Totti, Daniele è un profilo caratterialmente più esuberante e ciò lo dimostrava anche in campo, quando si procurava spesso tanti cartellini gialli e rossi per eccesso di foga o impulsività, con la Roma così come con la maglia della Nazionale. Sono entrambi due monumenti di questa società che hanno scelto con il cuore di arricchire meno il loro palmares da calciatori per diventare dei simboli nella propria città. Guardiola e Montella? A Pep dicevo sempre che sarebbe diventato un grande allenatore, quando andavamo a cena parlava sempre e solo di calcio. Era un malato della materia, a cena spostava posate e bicchieri sul tavolo per disegnare schemi e posizioni dei calciatori. Io lo guardavo e gli dicevo, tu non potrai che diventare un grandissimo allenatore, avevo ragione!  Non mi sarei invece aspettato che Vincenzo diventasse un tecnico di successo, per il semplice fatto che al contrario di gente come Pippo Inzaghi non è mai stato un maniacale in materia di calcio. Il percorso di Montella obiettivamente mi ha stupito, glielo dissi  anche quando lo incontrai a Milano".