"Sono un ragazzo tranquillo, dal profilo molto basso, che ama stare a casa, allenarsi, passare tempo con la famiglia, i suoi cinque cani e gli amici, guardare film e serie tv. Se dovessi usare una parola, direi semplice. Qui ci sono tutte le mie radici. Per il momento, perché il futuro potrebbe essere in Europa". Lo ha detto Mateo Retegui, intervistato ai microfoni de "La Gazzetta dello Sport". Fra i temi trattati dal nuovo attaccante della Nazionale italiana, oggi in forza al Tigre, anche la chiamata del commissario tecnico Roberto Mancini, oltre alla possibilità di visitare presto Canicattì, paese di origine dello stesso italo-argentino. Ma non solo...
LE DICHIARAZIONI
Retegui: “L’Italia un sogno, voglio visitare Canicattì. Tra Inter e Milan…”
"La storia della chiamata di Mancini incomincia in Sicilia, a Canicattì, da dove veniva il mio bisnonno materno, Angelo Dimarco? La conosco quella storia, mia nonna me l’ha raccontata tante volte. Il sindaco vuole darmi la cittadinanza onoraria? No, davvero? Lo scopro da lei adesso. Bellissimo, ne sarei orgoglioso. Quando torno in Italia voglio andare a visitare quelle zone. Sto già studiando l'italiano. In realtà lo capisco perfettamente e lo parlo già. Ma siccome sono un perfezionista, mi vergogno a farmi sentire fino a che non lo parlerò davvero bene. Lo stesso per l’inglese. A me non piace descrivermi, preferisco che siano gli altri a farlo. Sono molto autocritico con me stesso e lavoro forte per migliorarmi, perché a livello fisico come mentale, puoi sempre provare a fare qualcosa di più. Il mio mantra è che le mie virtù siano sempre migliori e che i miei difetti divengano virtù. L’obiettivo in campo è che ogni cosa che faccio sia la più naturale possibile. Cos’è la pressione,? Qualcosa che amo, che cerco. Non mi fa paura, anzi. Più pressione ho addosso e meglio reagisco", le sue parole.
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TRA BOCA E TIGRE -"È la prima volta che lo racconto: il contratto con il Tigre è di due anni, ma il Boca lo scorso novembre aveva l’opzione per richiedermi. Però non si è fatto sentire nessuno. Alla ripresa degli allenamenti a fine dicembre ho parlato con Diego Martinez (l’allenatore; n.d.r.), dicendogli che il Tigre per me è più di un club e che, a meno che la società per motivi economici non avesse accettato un’offerta dall’estero, sarei voluto rimanere. Poi a gennaio, poco prima dell’inizio del campionato, Hugo Ibarra (fino a una settimana fa allenatore del Boca; n.d.r.) mi ha detto che era interessato a me già per questa stagione, ma io avevo già dato la parola al Tigre. Per rispetto verso il presidente, tutta la società, Martinez e i miei compagni, a quel punto avrei accettato solo di andare all’estero. Mi ispiro a tanti che guardo e che ammiro. Haaland del Manchester City è uno di quelli, un 9 letale che mi piace tantissimo. Poi Lewandowski, Ibrahimovic, sono tutti molto completi. E sono dei leader. Io un leader? Uff, domanda difficile questa: nel Tigre ci sono giocatori di grande carisma e storia, penso a Seba Prediger, Gonzalo Marinelli o il “Pato” Galmarini, che si è ritirato da poco: loro sono un esempio da seguire, fondamentali. Mi piacerebbe essere considerato uguale, ma non sono io a doverlo dire".
LA NAZIONALE - "Un giorno a inizio anno stavo tornando da un allenamento e papà mi chiama per dirmi che aveva una notizia molto importante. Ma non mi sarei mai immaginato una cosa così, nemmeno nel più bello dei sogni avrei potuto pensare di giocare per l’Italia, a Napoli, nello stadio che porta il nome di Diego Armando Maradona. Non appena papà mi ha detto che Roberto (Mancini; n.d.r.) mi voleva, il mio sì è arrivato velocissimo, non c’era molto da pensarci. Debuttare in quello stadio con la maglia dell’Italia è stato stupendo, è difficile da spiegare, per tutte le sensazioni che provavo quando sono entrato in campo, sentire tutta quella gente. Bellissimo. Avrei solo voluto vincere, sarebbe stato il debutto perfetto".
SU MANCINI -"Con Roberto abbiamo poi parlato tanto a Coverciano, soprattutto di tattica e di come lui intende giocare. Devo ringraziare lui, tutto lo staff tecnico e i miei compagni per come mi hanno accolto e fatto sentire. Non mi sarei mai immaginato di vivere tutto questo. Ho provato a sfruttare al massimo ogni giorno per conoscere l’ambiente e iniziare a capire meglio il calcio europeo, che è molto diverso da quello argentino: è più veloce, dinamico, intenso. Si adatta ame, mi piace molto. Adesso l’obiettivo è di prepararmi ancora meglio a livello fisico e mentale se l’Italia mi dovesse richiamare. Che idea mi sono fatto dell’Italia? Ottima. È una squadra dura, molto fisica, mi piace molto. So che adesso tanti hanno molte aspettative su di me, ma io ne ho altrettante di giocare per quella squadra".
FUTURO -"In estate arriverà la chiamata dall’Europa? Sì, il presidente Melaraña ha detto che a luglio potrebbe essere probabile che io venga ceduto. A me piace molto l’idea, è un sogno per tutti quelli che giocano a calcio, i più grandi sono in Europa. Per quale squadra italiana tifo? Ah, tante. Ci sono grandissimi club, mi piacciono tutti. Non c’è niente di concreto e non so cosa stia succedendo, è papà che si sta occupando del futuro. Io con la testa sono al 100% sul Tigre. La mia attenzione è tutta qui. In Italia c’è il derby tra Inter e Milan, che stanno pensando a me?
Non so se sia vero. Ripeto, se ne sta occupando mio papà con i dirigenti del Tigre. Mi piacerebbe molto venire in Italia, ma è ancora molto presto. Però sarebbe bellissimo diventare un protagonista del campionato, uno che segna tanti gol. Come mi piacerebbe segnarne tanti anche per l’Italia, una delle nazionali più importanti della storia".
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