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Atalanta-Valencia, amarcord Kondogbia: “La verità sull’addio all’Inter e quella foto con dedica di Spalletti. Il razzismo nel calcio…”

L'ex centrocampista centrale francese dell' Inter ricorda il passato nerazzurro alla viglia della sfida di Champions League tra Valencia e Atalanta

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L'Inter e Geoffrey Kondogbia. Un connubio celebrato ma mai decollato del tutto. Un matrimonio, quello dell'estate del 2015, annunciato in grande stile che avrebbe dovuto segnare la rinascita dell'Inter targata Roberto Mancini. I presupposti per fare bene c'erano tutti ma gli ostacoli da oltrepassare fin troppi. Un alternarsi di tecnici e una proprietà, bloccata dalle rigide normative UEFA sul FairPlay finanziario, pronta ad essere ceduta al miglior acquirente.

Kondogbia, interno di centrocampo mancino dotato di buona visione di gioco e di ottima capacità di interdizione in zona nevralgica , non convince del tutto mister Mancini, attuale commissario tecnico della nazionale italiana, per la poca rapidità nella fase impostazione e passo talvolta fin troppo cadenzato. Il pubblico di San Siro non gradisce molto le sue prestazioni e non gli riserva un trattamento di particolare riguardo. Progressivamente, l'ex Monaco finisce ai margini del progetto con un rendimento, anche da subentrato, al di sotto delle aspettative iniziali. Nel luglio del 2017, durante il ritiro precampionato, arriva la rottura definitiva: Luciano Spalletti alla guida della compagine nerazzurra non può far altro che cedere di fronte alle richieste del francese di cambiar aria e approdare al Valencia. Proprio al Valencia si assiste alla rinascita calcistica dell'ex Inter che riguardo il suo trascorso a Milano, sponda nerazzurra, ha rilasciato un'interessante intervista a La Gazzetta dello Sport. «Conservo qualche amico, come Brozovic, Handanovic o Ranocchia, il piacere di aver giocato in un grande club e tanta esperienza: all’Inter sono cresciuto come calciatore e come uomo. Il secondo anno è stato difficile, tanti cambi in panchina con De Boer, Vecchi e Pioli, un ambiente complicato, ma l’esperienza mi è servita». In merito al rapporto bloccato sul nascere con il tecnico di Certaldo, Luciano Spalletti, dice: «Mi mandò una foto con dedica. Diceva più o meno "In bocca al lupo, ma te ne pentirai". Il suo era un gesto di affetto fatto in modo scherzoso. Io mi trovavo benissimo con Spalletti e l’allenatore voleva che restassi, però io avevo già preso la mia decisione. Mi piaceva il progetto del Valencia, venivano da due anni complicati, credevo che le cose potessero cambiare e finora grazie a Dio è andata bene: abbiamo vinto un titolo dopo 11 anni e in Liga siamo arrivati due volte quarti». Tornando sul rapporto tra calciatore e pubblico, Kondogbia si sofferma su un argomento che ha occupato tutte le prime pagine di tutti i quotidiani sportivi e non: «In Spagna non ho sofferto nulla, in Italia sì, diversi episodi. È il momento di farla finita con i lamenti. Si continua a ripetere che dobbiamo far qualcosa, ma non si fa nulla. Ed è una questione di rispetto per sé stessi, le vittime del razzismo devono rispettarsi. Se sei in uno stadio dove la gente non ti vuole, te ne vai e discorso chiuso. Non giochi e a posto così, che quelli che non ti vogliono vedere giochino tra loro». Domani sera, alle 21:00, andrà in scena un match pieno di ricordi e significati, un tuffo nel passato per Geoffrey Kondogbia: il prato dello stadio Giuseppe Meazza in San Siro e  avversari in maglia nerazzurra, questa volta sponda Bergamo, la Dea di Gasperini.