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L'EX PALERMO

Parma, Vazquez: “Sarei rimasto. La mia su Iachini, Maresca e Pecchia. Kakà idolo”

Parma, Vazquez: “Sarei rimasto. La mia su Iachini, Maresca e Pecchia. Kakà idolo” - immagine 1
Le dichiarazioni dell'ex fantasista di Siviglia e Palermo tra le altre, Franco Vazquez fresco di addio dal Parma di Pecchia
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Parola a Franco Vazquez. L'ex calciatore di Palermo e Siviglia tra le altre da oggi è ufficialmente svincolato dopo la scadenza del suo contratto con la società crociata. Il fantasista italoargentino a margine del suo addio al club guidato da Fabio Pecchia in panchina, ha rilasciato un'interessante intervista ai microfoni di "ParmaToday" sul quale ha ripercorso tutta la sua avventura emiliana. Di seguito, le sue parole: "Dieci giorni fa il mio agente mi ha chiamato dicendo che nessuno si era fatto vivo per il rinnovo.  Sarei rimasto volentieri".

Cosa ha pensato? "Ho accettato la decisione. Cosa devo pensare?"

Perché non ha rinnovato? "Perché nessuno è venuto a parlarmi di rinnovo e di niente. Non si può parlare di rinnovo se non c'è una negoziazione. Ma anche questo è il calcio. Peccato...". 

Vazquez, ripartiamo da quelle lacrime.  "Ho pianto perché non sono riuscito a portare il Parma in Serie A. Dietro quello sfogo c’erano anche le lacrime per l’anno scorso. È stato un accumulo. Ho fatto di tutto per aiutare il Parma, ma non è bastato. Quest'anno eravamo vicini all'obiettivo e vederlo sfumare è stato un po' come vedersi crollare il mondo addosso".

Che stagione è stata? "Difficile, lunga soprattutto. E dura, sia fisicamente che mentalmente. Il bilancio non può certamente essere positivo, ma alla fine siamo riusciti a fare un buon campionato. Personalmente posso dire di essere stato molto bene a Parma. L'unico rammarico che ho è quello di non essere riuscito a portarlo dove merita. E questo me lo porterò dietro per un po'. Peccato: a livello di risultati, soprattutto nell'ultimo mese, abbiamo fatto bene. Forse siamo diventati squadra un po' tardi. Purtroppo la finale ci è sfuggita per colpa di episodi. Ma questo è il calcio. Mi permette di fare un saluto?".

Prego. "A tutte le persone che lavorano per noi calciatori: magazzinieri, chef, gli addetti alle pulizie, i fisioterapisti. Tutta gente che merita il meglio".

Perché il Parma non è andato in Serie A? "Credo che per raggiungere gli obiettivi il gruppo debba essere unito e forte. Noi non sempre lo siamo stati. Mi creda: per vincere serve che tutti, e quando dico tutti davvero intendo dal primo all'ultimo in società, siano consapevoli di dove si sta giocando e riconoscano l'importanza dell'obiettivo. Noi ci siamo arrivati solo negli ultimi mesi a questo e credo che i risultati si siano visti. Quello deve essere il punto di partenza per il prossimo anno". 

Quando è arrivato a Parma si aspettava di fare così fatica? "No, sinceramente. Non me lo aspettavo. Sapevo però che il campionato di Serie B fosse complicato e avere una squadra giovane tante volte può richiedere tempo in un percorso di costruzione della mentalità vincente. Coi giovani serve tempo. Ma il nostro obiettivo è stato sempre quello di andare in Serie A".

Lei lascia una squadra giovane: che consiglio dà a questi ragazzi? "Posso solo dire loro di lavorare tanto e prendere coscienza che questo Parma è un club nel quale devi giocare per vincere sempre". 

Personalmente, che stagione è stata? "Il bilancio personale è positivo. Ho fatto due anni molto belli. L’anno scorso ho segnato più gol rispetto a quest'anno. Mi ha aiutato il modo di giocare della squadra. Con mister Iachini giocavo dietro alla punta. Arrivavo da lontano, avevo il tempo di inserirmi un po’ a sorpresa. Quest'anno ho giocato da centravanti, stavo più spesso in area ma ero troppo solo. Essendo l'unico riferimento avevo subito due, tre avversari addosso e questo ha complicato le cose". 

A proposito: cosa rappresenta Iachini per lei? "L'allenatore che mi ha dato fiducia e la possibilità di dimostrare il mio valore". 

Lei è arrivato grazie a Maresca al Parma. Chi è Maresca per Vazquez? "Enzo è un amico, una persona che come compagno di squadra mi ha aiutato tanto ai tempi di Palermo. Come allenatore vi dico che diventerà grande: come diciamo in Argentina, lui è un 'malato' di calcio e passa la maggior parte del tempo a studiarlo". 

E Pecchia? "Pecchia è un allenatore bravissimo, che sa stare vicino ai giocatori e sa trascinare il gruppo". 

Che rapporto aveva con il Presidente Krause? "Kyle è una persona molto seria e simpatica. Ha un grande progetto per il Parma e vuole fare grandi cose. Spero per lui e per questa gente che, il prima possibile, raggiunga la Serie A". 

Cosa ha pensato quando ha saputo che in squadra con lei c'era Buffon? "Sono stato felicissimo. Gigi è una bravissima persona, si mette disposizione con tutti e per tutti ha una buona parola. È un uomo umile e positivo, lui che è una leggenda del calcio. Esempio per tutti nello spogliatoio. Credo che sia stato bellissimo essere suo compagno e spero che possa continuare a Parma perché più di tutti vuole dare alla città ciò che si merita dal punto di vista sportivo". 

Lei con Buffon aveva giocato anche in Nazionale. "Sì. Ma per poco. Per me è stato un onore vestire la maglia dell'Italia. Essere convocato da una Nazionale così importante è stato fantastico".

Chi è il calciatore più forte con cui ha giocato? "Ah, ce ne sono tanti, difficile scegliere. Quando ero a Siviglia, per esempio, c'era Nasri: fortissimo. Banega era un giocatore fantastico. In Nazionale ho potuto ammirare Pirlo, Marchisio. Centrocampisti molto forti. Ecco, forse per quanto era giovane e per la carriera che ha fatto dico Dybala. Straordinario: abbiamo giocato insieme a Palermo e si vedeva che poteva crescere ancora. Potevo solo immaginare che facesse questo tipo di carriera. Sono felicissimo per lui. Siamo molto legati, tra noi c'è un legame che va oltre il calcio: siamo cresciuti nella stessa città, le nostre famiglie sono in ottimi rapporti, parliamo spesso".

Avrete parlato della Coppa del Mondo tornata in Argentina dopo 36 anni. "Certo (ride ndc). Sono troppo contento. Credo che vincere la Coppa del Mondo sia il sogno di tutti. Io purtroppo non l'ho realizzato, ma sono contentissimo per gli argentini, mi creda. Sono felice perché l'ha vinta Messi, lo meritava. Poi tanti miei amici l'hanno alzata al cielo come Dybala, Lo Celso. È bello vedere un popolo che gioisce grazie al calcio"

A proposito di sogni, lei li ha realizzati i suoi? "Sì. Per lo meno il più grande che avevo: quello di giocare a calcio. Volevo fare il calciatore da piccolo. Non ricordo un altro gioco che non fosse il pallone. Con i ragazzi del quartiere mettevamo due pietre in strada per fare le porte. Ho sempre giocato con i più grandi. Ho due fratelli maggiori e tra di noi ci divertivamo a sfidarci sui campi sabbiosi di Villa Carlos Paz. In ogni angolo c'è un pallone e dietro di esso bambini che corrono e rincorrono i loro sogni. In Argentina giocano quasi tutti e per molti il pallone rappresenta una sorta di 'redenzione'. Mio padre Oscar, per esempio, ha 65 anni ed è ancora un 'malato' di calcio: gioca ancora con i suoi amici. È un po' il mio idolo perché è un esempio, è un uomo di valori che ci ha trasmesso una grande educazione. Ci portava con lui, ci faceva assistere alle sue partite e quando qualcuno mancava, per un motivo o per un altro, faceva giocare me e i miei fratelli. Io ricordo che la domenica mattina, senza la scuola, mi svegliavo presto per guardare 'La giostra del gol', un programma che faceva vedere gli highlights della Serie A. Mi piaceva il Milan, uno squadrone. Il mio idolo era Kakà. Giocatore fortissimo".

La sua prima maglia da calcio? "Quella del Velez, squadra di Buenos Aires. Me l'ha regalata mio padre, cresciuto vicino allo stadio del Velez: è ancora tifoso".

Ogni tanto pensa al fatto che sarebbe potuto venire a Parma molto prima? "Sì, è strana la vita! Non so cosa sia successo in quell'occasione. Era tutto fatto, mancava solo la firma. Io ero molto giovane, i miei dirigenti al Belgrano mi hanno chiamato e mi hanno detto: 'Domani andiamo in Italia, firmi per il Parma'. Era la squadra in cui giocava Giovinco, tanto per intenderci. C'era Gabriel Paletta. Il direttore era Antonello Preiti. Il Belgrano aveva dato l'ok per tutto. Quando sono arrivato in città sono stato per un giorno in albergo mentre dirigenti del Belgrano e agenti sono andati allo stadio per sbrigare tutte le pratiche. Dopo cinque ore sono tornati: mi ricordo che stavo per andare a dormire quando mi dissero: 'Non se ne fa niente. Domani ce ne andiamo in Argentina'. Sono rimasto così, muto...". 

A proposito, perché la chiamano Mudo? "Perché quando ero giovane era difficile stringere rapporti con me. Ero molto timido, non mi piaceva tanto parlare. E un mio compagno di squadra al Belgrano mi disse: 'Dai, ma stai sempre zitto, sei un muto'. E da li Mudo, Mudo". 

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