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Cesare Bovo, calciatore che ha militato nel Palermo tra il 2006 e il 2007, ha rilasciato alcune dichiarazioni riguardanti la sua carriera, menzionando anche la formazione rosanero, in un podcast, lanciato su Tik Tok, nella pagina ProFootball_Podcast.
La carriera e il passaggio mancato alla Fiorentina
Dopo Palermo, al terzo anno, la società decise di mandare via me. Eravamo andati via in 5-6 già il primo anno, poi dopo due anni smantellarono la squadra. Io ero in uscita e mi chiamò il procuratore dicendomi: «Cesare, ti passo il tuo nuovo direttore».
Parlai con Corvino e lui mi disse: «Cesare, sei contento?». Corvino è stato il primo direttore che ho avuto che ha creduto in me, portandomi tra i grandi, perché mi aveva visto nel settore giovanile e io devo solo ringraziarlo: mi diede una grande opportunità.
In quel momento era alla Fiorentina e mi disse: «Cesare, venerdì ci sentiamo, sabato vieni e facciamo le visite». Io dovevo andare via da Palermo e non ti nascondo che ho pianto quando sono andato via col magazziniere, che era un grande amico. Non è stato facile.
Però ero contento, perché Firenze è una piazza pazzesca. Il venerdì lo richiamai e mi disse: «Cesare, porta pazienza perché c’è un giocatore in uscita che non vuole uscire, aspetta qualche giorno». Da lì dovevo fare le visite sabato… ma non ho più sentito nessuno.
L’aneddoto con Miccoli sulle punizioni
Un altro ricordo riguarda una partita in casa col Brescia, che vincemmo 1-0. Segnai io all’ottantaduesimo su punizione, ma in campo c’era anche Fabrizio, e ovviamente le calciava tutte lui: Fabrizio è Fabrizio, è un altro livello.
Quella partita però aveva già tirato due o tre punizioni che erano finite sulla barriera. Il campo era pesante perché aveva piovuto. Verso il settantacinquesimo gli dico: «Fabrizio, fammi calciare una punizione». Era una gara molto combattuta, il Brescia si difendeva bene e noi non riuscivamo a segnare.
All’ottantesimo capita un’altra punizione, lui calcia ancora e prende la barriera. Allora gli dico: «Fabri, la prossima la tiri me». Lui mi risponde: «Dai, la prossima è tua».
Dopo un paio di minuti arriva davvero un’altra punizione. Mi avvicino e gli dico: «Fabri, tocca a me». Lui prova a dire di no, ma gli ricordo la promessa. Alla fine calciai io… e feci gol. Ci siamo abbracciati, abbiamo vinto la partita. Quello è stato un sintomo di gruppo: anche il leader, il capitano, sapeva cedere e dare fiducia agli altri.
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