"Il paracadute non basta. Altrimenti perché tanti fallimenti? Bari e Palermo sono ripartiti dalla D per debiti insostenibili. Non è possibile continuare con vecchie regole che impattano sul nostro ordinamento". Lo ha detto Oreste Vigorito, intervistato ai microfoni del "Corriere dello Sport". Diversi i temi trattati dal presidente del Benevento: dall'attuale situazione calcistica in Italia, con il caso Reggina che continua a tenere banco, alle prestazioni offerte fin qui dalla compagine campana, impegnata nella lotta per non retrocedere. Ma non solo...
LE DICHIARAZIONI
Benevento, Vigorito: “Paracadute non basta, vedi il Palermo. Non voglio retrocedere”
"Bisognerebbe ripartire da zero e riscrivere norme che contemperino giustizia sportiva e ordinaria. Ma andrebbe rivista anche la ripartizione delle risorse derivanti dalla vendita dei diritti tv. Sono problemi noti, ma gli interessi sono tanti e non conciliabili. Non c’è riuscito nessuno. Abodi? Un professionista che conosce il sistema da dentro e sa che la soluzione non può essere più rinviata. O muore tutto. Indipendenza non significa anarchia. Bisogna che - come si dice a Napoli - si trovi penna, carta e calamaio e si scrivano regole univoche. Come dice il presidente Balata. Chi si comporta in modo onesto fa il suo dovere. Viene avvantaggiato chi viola le regole. La Reggina sta usufruendo di una maggiore disponibilità finanziaria che ha inciso sul piano tecnico. Anche se poi per vincere non bastano i soldi. Le regole vanno riscritte. E debbono essere inequivocabili", le sue parole.
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FUTURO -"Io non voglio neanche pensare all'eventualità di retrocedere. Non corrisponde al vero - come sostiene qualcuno - che io voglia riportare il Benevento dove l'ho preso per lasciarlo. La C ha una sua dignità. Ma dopo essere stato a San Siro, all'Olimpico e allo Stadium la prospettiva non mi entusiasma affatto. Il futuro? Sono concentrato sul presente. Se dovessi restare nel calcio, l’esperienza inciderà. In 17 anni ho comprato 180 calciatori e ho speso una fortuna. Ma ho potuto realizzare i miei sogni. Il futuro dovrà essere sostenibile. Dobbiamo essere una sana società di provincia. Con grandi ambizioni e i piedi saldamente piantati nella realtà. Strutture adeguate e giovani da valorizzare. Ne abbiamo tanti. E il sistema dovrà premiare chi valorizza i talenti. I club italiani sono sempre più in mano a miliardari stranieri e a fondi sovrani esteri. Noi dobbiamo ricostruire la possibilità di fare calcio nel Sannio, una terra che io amo profondamente. È la prima stagione che abbiamo fallito. Siamo tutti colpevoli, ma la responsabilità è soprattutto mia. Credo che il Benevento non morirà. Ancora in Serie B oppure altrove continuerà a esserci. Ma dovrà farlo in modo diverso e proporzionato all’interesse di città e territorio. Intanto, crediamo nella salvezza e stringiamoci forte alla Strega. Tutti insieme. Il futuro è adesso".
ERRORI -"Ci sono stati errori. Io per primo ne ho fatti tanti. Quello più grande è non essere stato risoluto nel resettare il progetto e renderlo più sostenibile e congruo alle possibilità e all’interesse della città. Dopo quella gara all’Arena Garibaldi si era chiuso un ciclo. Eravamo partiti per fare un grosso rinnovamento. Ma non siamo riusciti a vendere calciatori che pesavano sull’organico e sul bilancio per liberare spazi e risorse. E abbiamo fatto acquisti che non hanno sempre funzionato. Questa situazione è stata aggravata dagli infortuni. Dieci/undici al mese non sono tollerabili. E abbiamo dovuto resettare in corsa lo staff sanitario. Avrei voluto cambiare tutto dopo aver perso la A in modo rocambolesco. Ma non ci sono riuscito. E’ la colpa che mi attribuisco. Altre non riesco a trovarne. Ho provato a dialogare col popolo giallorosso dal primo giorno e mi auguro di poterlo ancora fare. Ma se su 8 mila abbonati, 4 mila non vengono allo stadio, faccio fatica a comprenderne le ragioni. So che il calcio è della gente. E senza la gente manca una componente fondamentale. Ma il saldo negativo lo pagano i presidenti e le norme attuali non aiutano l’equilibrio dei club".
CESSIONI -"Molti hanno abbandonato la nave. Ma chi è andato via non ha mai spiegato perché. Lapadula, Barba, Forte... Averli persi ci ha penalizzati. Qualcosa s’era rotto. Ma non con me. Se uno vuole cambiare aria, cosa puoi fare? Lapadula ha chiesto di essere ceduto quando era capocannoniere. Ho parlato con lui e i procuratori e non sono riuscito a capire il perché del divorzio. Impossibile trattenerlo, benché l’avessi pagato 4 milioni di euro. Altro mistero doloroso. La cosa triste è che vanno via senza salutare. Coda? Al nostro ds aveva dato la disponibilità al trasferimento. Ma era un’operazione da 8 milioni di euro. Mi sono chiesto se ne valesse la pena. Poi il presidente del Genoa, Zangrillo, non ha voluto darci più il calciatore perché con l’arrivo di Gilardino Coda è tornato in campo e ha fatto gol".
DA CANNAVARO A STELLONE -"Cannavaro aveva portato freschezza. Ma l’effetto non è durato. Certo, l’ho visto lavorare con passione. Ma dopo la fiammata iniziale ci eravamo spenti anche con lui. E’ andato via il direttore sportivo, un particolare non irrilevante. Non c’era più condivisione nella soluzione dei problemi emersi. Tanti. I professori di calcio sono il pronto soccorso che a parole funziona sempre. Ma sono i fatti la realtà. Serviva altro. Stellone? Mi è sembrato l’uomo giusto per generare risorse umane e ambiente. Ci sta provando con tenacia. E non molla. Come me. Ha un’etica non comune e coi giovani sta facendo bene. Ma non ci si salva da soli".
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