serie b

Palermo-Venezia, le spalle larghe di Nino e la mia partita speciale…

Palermo-Venezia, le spalle larghe di Nino e la mia partita speciale…

L'assunzione di responsabilità in occasione del penalty, poi fallito, contro il Venezia certifica la maturazione calcistica di La Gumina, talento nostrano che rappresenta presente e futuro di questa squadra...

Mediagol77

di Benvenuto Caminiti

Appena Ninuzzu, sul finir della partita, ha sbagliato quel rigore, che lui stesso si era abilmente procurato, nella mia mente sono subito tornati i celebri versi della celebre canzone di Francesco De Gregori: … Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore/non è mica da questi particolari/ che si giudica un giocatore/ Un giocatore lo vedi dal coraggio/ dall’altruismo e dalla fantasia…

Ninuzzu ha le spalle larghe - come diceva stamane un mio caro amico e sodale, che di calcio ne mastica parecchio – e, quindi, questo errore, per altro ininfluente, se lo getterà subito dietro le spalle.

E così sarà, così dev’essere perché Ninuzzu ha ampiamente dimostrato di essere diventato un giocatore vero, e non può esser certo un errore dal dischetto a tarpargli le ali: il ragazzo non è più un ragazzo, il ragazzo è diventato un uomo, ha preso coscienza dei suoi vizi e delle sue virtù e si comporta sempre, in campo e fuori, da professionista.

Anche ieri, pur non  giocando la sua migliore partita, il suo lo ha fatto, lottando su ogni pallone e creando sempre scompiglio nell’area di rigore avversaria, che per lui è come terra di conquista, tale è la famelica brama con cui sfrutta ogni occasione propizia.

Ma basta parlare di Nino, anche se c’è tanto ancora da dire e scrivere su di lui: ha solo 22 anni e tutta una carriera davanti. Io sono certo che il ragazzo saprà sempre rigar dritto e onorare la maglia che indossa. Se questa, poi, è quella del suo Palermo, allora lui ci mette quel pizzico in più che gli detta il cuore  e l’onore di battersi per la squadra della sua città.

Di partite del Palermo, per tifo e per mestiere, in quasi settant’anni, ne avrò visto un migliaio e forse più, la maggior parte delle quali in casa, cioè allo Stadio della “Favorita”, poi diventato “Barbera”, in onore a Renzo Barbera”, il nostro indimenticabile “presidentissimo”. Ebbene, quella di ieri è stata per me una partita speciale , diversa da tutte le altre, perché vissuta non “dal vivo” ma attraverso quello schermo al plasma, che sa tanto di gelo e distanza: in casa, davanti alla tv. Vi lascio immaginare il mio stato d’animo, la tensione febbrile, i battiti del cuore ma, soprattutto, un sottile filo di rimorso per non essere al mio posto, quel numero 13 della Fila 19 che io stesso ho fortemente voluto nella stagione successiva alla prima retrocessione in B dell’era-Zamparini.

Avrei potuto vederla in gruppo in qualche bar-ristorante, qui di Varese, ma ho preferito chiudermi in  casa, perché il tifo è una cosa seria, che non si improvvisa ma si coltiva, partita dopo partita, a furia di spasmi, budella che si attorcigliano, lacrime e sangue, scoppi di risa e gemiti di dolore. L’ideale sarebbe ancora e sempre viverla in Curva, là dove ruggisce il tifo vero, quello che non dipende dal risultato ma solo dai battiti del proprio cuore. E io l’ho fatto per più di trent’anni, fra gli ultras della Curva Nord e finché mi hanno retto le forze, perché tifare fra quei gradoni (solo dopo i Mondiali del ‘90 illanguiditi dai vezzosi sedili verdi) è fatica vera, sono muscoli che si stirano e ossa che si spaccano. Personalmente, due polsi slogati e una mezza dozzina di occhiali fracassati: il tutto per un gol del Palermo che, nella bolgia della Curva, mi spazzava via come un  fuscello.

Ebbene, tutto questo, negli ultimi anni io l’ho vissuto solo con … gli occhi, guardando quasi con invidia quelli che furono miei compagni di Curva e che, da “Vicè u pazzu” in poi, io non ho mai dimenticato. Che bei tempi erano quelli, erano dolci e amari, com’è dolce  e amara la vita quand’è vissuta  senza risparmio.

Ieri al “Barbera” è tornato compatto il popolo rosanero… erano in trentamila, tutti vestiti di rosanero, dentro e fuori, tutti ebbri di gioia, quella di potere assistere al riscatto del Palermo e dargli la spinta decisiva per ritornare in seri A. Trentamila meravigliosi tifosi e… io non c’ero. Non me lo perdonerò mai, anche se gli altri, amici e sodali, lo hanno già fatto e mi dicono: “Quando gli affetti chiamano, un uomo, se è un uomo, deve rispondere: “Presente!”. Costi quel che costi. E tu lo hai fatto. E per questo noi ti vogliamo bene ancora di più!”.

Tutto ciò - solidarietà, comprensione, affetto - dovrebbe consolarmi, restituirmi la pace perduta e io lo vorrei tanto, perché soffrire non piace a nessuno, ma non ci riesco e covo dentro un’inquietudine che mi rende intrattabile, anche con le persone più care. Quelle alle quali devo tutto, anche aver potuto coltivare la mia passione rosanero in piena libertà e che, anche stavolta, non mi hanno certo costretto a fare la scelta che ho fatto.

Mi restano altre due partite da vivere da esule e sono quelle decisive, tra le più importanti nella storia del Palermo e, quindi, nella mia storia di tifoso. Dovrò farmi forza e tifare ancora di più. Col cuore, con i pensieri, con tutto me stesso. A duemila chilometri di distanza dal tempio rosanero, ma sarà come se ci fossi anch’io, là nel posto n. 13 della Fila 19, fra Roberto, Benny e Leandro.

Insieme, abbracciati, comunque andrà a finire.

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