di Benvenuto Caminiti
venezia
Palermo, Coronado e gli spettri da scacciare. Stellone ed il Barbera per rinascere e volare in finale…
Sospesi tra la soddisfazione per il buon pari conquistato che può schiudere le porte della finale play-off ed il lacerante rimpianto per l'errore di Coronado che avrebbe potuto scrivere un'altra storia....
Alla fine, sono rimasti solo i rimpianti, gli stessi di un’intera regular season, durante la quale il Palermo ha sprecato tutto il possibile e pure di più.
Era appena andato in vantaggio con l’unica azione da grande squadra - quale in potenza il Palermo è, almeno per la serie B – che, pochi attimi dopo, per una sfortunata deviazione, Pomini restava di sasso su un tiro di Marsura tutt’altro che irresistibile.
Neanche stavolta è bastata l’ennesima prodezza (undici in tutto fra Coppa Italia, campionato e semifinale play off) di Ninuzzu nostro, anzi di Ninuzzu mio, visto che lo “sponsorizzo” dai tempi della “primavera” rosanero: "Questo ragazzo in area di rigore ha l’istinto del killer, basta che veda la porta ed è gol!", preconizzai per lui alla fine del Viareggio di due anni fa, quando l’arbitro Valeri “decise” che a vincerlo dovesse essere la Juve e non il Palermo.
Ricevuta palla da Jajalo, Ninuzzu ha guardato un attimo il portiere e lo ha freddato con un imparabile destro radente, alla sua sinistra.
Sembrava fatta e invece il solito attimo di ritardo su un cross qualunque e Marsura… il resto lo sapete già.
Ma la partita non era finita, anzi cominciava proprio nell’istante in cui la sfortunata deviazione di Rajkovic (tra i migliori in campo in senso assoluto) aveva riportato le due squadre in parità, perché solo da quell’istante entrambe provavano a vincerla. In verità più il Palermo che il Venezia: Stellone inseriva Coronado per Fiordilino e Gnahorè per Moreo e il gioco rosanero finalmente rifioriva.
Coronado si piazzava alle spalle di La Gumina, là dove fino ad allora aveva giostrato il solito alterno Trajkovski, e subiva piazzava, una dopo l’altra, le sue proverbiali accelerazioni.
C’era tanta, troppa frenesia nel suo gioco, si vedeva, anzi si toccava con mano, la sua voglia matta di far dimenticare il decisivo errore dal dischetto contro il Cesena. Così dribblava, scambiava col compagno più vicino e appena vedeva la luce della porta, pur lontana che fosse, sparava il suo destro. E si procurava pure l’occasionissima per spazzar via rimpianti e rimorsi, pareggiare i conti, anzi portarli in credito: rubava palla sulla trequarti e filava, solo soletto, verticale e veloce come un treno, verso Audero. Che gli usciva incontro a braccia larghe e gambe divaricate… Riecco l’attimo fuggente, quello che divide, separa e distingue uno qualunque da un campione… Non vorrei essere crudele a fustigarlo più di quanto lo abbia già fatto lui stesso, povero Coronado, che ha classe, colpi e guizzi da campione ma che al momento della verità si smarrisce come un bambino al buio.
Che peccato.
Ma nulla è perduto, domenica pomeriggio, quando il sole è calante ma riscalda ancora, i trentamila del “Barbera” sapranno spingere il Palermo verso la finale, che sarebbe comunque meritata se non strameritata. Sempre che Stellone sappia, nel frattempo, tirarsi a parte, in un conciliabolo caldo e intenso come tra padre e figlio, il buon Coronado per caricarlo a tempo, quello giusto, quello che basta per farlo tornare il giocatore che fa la differenza e decide il risultato.
Nel complesso, una partita avvincente, almeno nella seconda frazione, combattuta e corretta. Discretamente (non di più) diretta dall’arbitro Chiffi di Padova, un belloccio dal ciuffo biondo che, chirurgicamente, in ogni tackle, decideva a favore dei suoi corregionali veneti. Quisquilie, ma si sa quanto possa essere malizioso un tifoso quando anche solo un refolo di vento gli scompiglia i pensieri… e Chiffi è di Padova, pochi chilometri da Venezia e quasi duemila da Palermo.
Finisce con le solite interviste agli allenatori: Gianluca Di Marzio ha davanti Stellone e invece di soffermarsi sulla partita chiede subito lumi sulla veridicità di quella promessa al Venezia, che lo avrebbe visto futuro erede di Inzaghi prima di cedere alla corte di Zamparini . Stellone, che dentro dev’essere una pila elettrica, liquida il tema con due sole parole, anzi una sola ripetuta due volte. "Voci, solo voci!".
Quando arriva Inzaghi, invece, mi pare di entrare nel solito bar dello sport nel quale ci sono abbracci e baci tra amici che si ritrovano e rievocano i bei tempi andati. Con Inzaghi, ancora tarantolato, che ripete per l’ennesima volta "quanto grande è stata la sua squadra, costruita per salvarsi e arrivata ad un passo dal giocarsi la finale". Con l’acuto di Di Marzio che, per tesserne le lodi, si produce nel seguente pensiero della sera: "Siamo davanti a un grande personaggio perché, pur chiamandosi Pippo Inzaghi due anni fa ha accettato di allenare in Lega Pro".
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