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Flop Italia, la diagnosi del dottor Sconcerti: “Il nostro calcio è malato, ecco i sintomi più gravi”

Flop Italia, la diagnosi del dottor Sconcerti: “Il nostro calcio è malato, ecco i sintomi più gravi”

L'analisi del noto giornalista ed opinionista televisivo dopo la mancata qualificazione dell'Italia ai prossimi Mondiali

Mediagol7

"Trovo poco interessante la discussione sulle dimissioni di Ventura e Tavecchio, devono andarsene ma non sono il Male. Cacciati loro non hai la soluzione. Resta il poco del calcio italiano, è quello il vero problema".

Parola di Mario Sconcerti. L'Italia è fuori dai prossimi Mondiali dopo ben sessant'anni dall'ultima volta. Dopo il pareggio maturato lunedì sera in quel di Milano, a prendere il volo per Mosca sarà la Svezia di Jan Andersson, alla quale è bastata l'autorete nel match di andata. Attraverso le colonne del 'Corriere della Sera', è arrivato anche il commento del noto giornalista ed opinionista televisivo.

"Io penso che se da vent'anni non troviamo giocatori di qualità diversa vuol dire che in questo Paese, ma anche in molti altri, si è cambiato il modo di giocare e intendere il calcio. La malattia è evidente, la cura non c'è. Possiamo però provare ad analizzare i sintomi. Prima di tutto si è cercato di reagire al modello di Sacchi [...]. Sacchi ha cambiato il metodo di lavoro, il carico e la frequenza degli allenamenti per potere resistere più a lungo sul campo a ritmi alti. Avendolo imitato in molti ci siamo trovati con un calcio a cento all'ora, ma la velocità uccide il tempo. Più vai veloce e più il tempo rallenta. Aggredisci ma pensi sempre meno, costringi i giocatori ad arrivare al confine della tecnica. La reazione è stata il possesso palla, cercare cioè di riprendere il controllo della velocità, renderla relativa. Ma una velocità ridotta non permette più il dribbling, per fare un cross bisogna sovrapporre due o tre giocatori. La sintesi è un calcio meno veloce e di minor qualità. Un calcio che non progredisce - si legge -. Secondo punto: chi insegna calcio oggi in Italia? Ci sono circa settemila scuole con una decina di istruttori ciascuna. Fanno settantamila istruttori. Chi ha insegnato agli insegnanti? Praticamente nessuno. Portando dovunque maestri dilettanti abbiamo tolto ai ragazzi la capacità di giocare come credono. Terza cosa: l’arrivo di una vera nuova classe dirigente, i genitori. Pagano per far giocare il figlio, quindi intervengono. Questo ha portato il calcio dei ragazzini a spezzarsi in undici individualità, ognuno gioca per piacere al proprio genitore, per non sentirlo litigare, aumenta in modo esponenziale la sua tensione e la possibilità di scelte sbagliate nel gioco. Perché ormai non è più un gioco. Quarto punto. Vent'anni di televisione hanno cambiato la psicologia del calciatore. Prima giocava per ventimila persone, ora per milioni ogni volta. La sua esposizione lo ha reso una grande azienda personale, ne ha allungato le esigenze, forse i vizi, l'autostima, l'importanza. Questo lo porta a pensare prima a sé, ai propri interessi generali anche dentro la singola partita. Ultimo punto, sconosciuto e fondamentale. Abbiamo tutti accettato che il calcio sia gestito solo dal calcio. Allena solo chi ha giocato in serie A. Sacchi, Sarri, Mourinho sono catalogati a livello di eccezioni inevitabili. In sostanza il calcio è sempre in mano alle stesse idee, una generazione dopo l’altra. Einstein, Marchionne, Zanardi, Montale, uno qualsiasi dei tanti allenatori di dilettanti, non avrebbero potuto iscriversi a un corso serio per allenatori. Si può continuare così?".