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POVERI (di punti) MA BELLI A Roma molto gioco, poche reti Levan incanta: meglio un mercato giovane?

di Francesco Graffagnini Giocar bene e perdere, oppure giocar male e vincere? Questo è il dilemma. Direte voi: vincere nel calcio conta più di ogni altra cosa. Lo sanno i presidenti.

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di Francesco Graffagnini Giocar bene e perdere, oppure giocar male e vincere? Questo è il dilemma. Direte voi: vincere nel calcio conta più di ogni altra cosa. Lo sanno i presidenti che con i piazzamenti importanti in classifica ci fanno dei bei soldoni. Lo sanno gli allenatori, che – per quanto bravi possano essere a sfoggiare alchimie tattiche di rara originalità – se non portano con efficacia punti a casa vengono prima rosolati per bene sulla graticola e poi, una volta abbrustoliti oltre misura, gettati fra gli scartati. Eppure si ha l’impressione che non sempre questo assioma valga con la stessa pertinenza per tutti i soggetti coinvolti. Certo, se si parla di Mourinho non si può che affermare il dogma secondo cui lui e i suoi ragazzi sono condannati a vincere, fosse solo per il fatto che Moratti sborsa fior di quattrini al fine di ottenere l’unico risultato utile per una società che si chiama Inter. Anche lì si parla di bel gioco: ma il concetto rimane il più delle volte solo una dichiarazione d’intenti, perché di bello da vedere c’è veramente poco. Anche se gli occhi restano asciutti, la pancia comunque si riempie a forza di tris di punti da ingurgitare. Per tutte quelle realtà che navigano invece ad una certa distanza dalle coste dei trionfi e dei trofei, ammirandone la bellezza ma accontentandosi di non rischiare di incagliarsi per l’inadeguatezza del proprio scafo, ciò che conta attiene anche e in buona parte ad aspetti quali l’armonia del gruppo, l’equilibrio e il bel gioco. Fattori che inducono a vedere il classico bicchiere mezzo pieno e che, dopo una gara come quella di ieri sera all’Olimpico, spingono a credere che, a prescindere dal segno del risultato ottenuto, si sia trattato comunque di un successo. BELLI A VEDERSI Non sappiamo se il presidente Zamparini ha voglia di sposare questa valutazione, ma siamo convinti che al cospetto della Roma e di capitan Totti il Palermo abbia fatto una gran bella figura. Certo, non è da tutti andare all’Olimpico e contrapporre ai giallorossi quelle stesse armi che li hanno resi celebri sotto la guida Spalletti: fraseggio corto, rapidità nel trasferimento della sfera, manovre ora ficcanti ora avvolgenti, pressing. Lo stesso Luciano ha avuto parole d’elogio per i rosa e in particolare per il ruolo chiave di due pedini quanti-qualitative come Bresciano e Simplicio, unito al movimento dell’eclettico Cavani (“La bontà della squadra, poi Cavani è un giocatore di grande movimento che praticamente fa reparto da solo – ha spiegato il tecnico giallorosso - Simplicio e Bresciano sono due centrocampisti che sanno accompagnare in fase offensiva e in difensiva, riuscendo a rincorrere e non far giocare i nostri mediani. Con tutti questi centrocampisti loro non danno punti di riferimento. Se non si riescono a contrastare diventa difficile per tutti”). POCA CONCRETEZZA Contro la Roma a Roma è anche normale andare in apnea difensiva, in alcuni frangenti di gara (è avvenuto nella prima parte del primo tempo e sul finale di partita solo a sprazzi). La forza dei giallorossi è indiscutibile, il momento di forma degli Spalletti boys sotto gli occhi di tutti. Conforta che il Palermo e Ballardini abbiano provato a rimettere in sesto la gara fino all’ultimo minuto utile. I cambi in questo senso certificano la consapevolezza che si fosse sui binari giusti per compiere l’impresa. Così, volendo dare l’estrema sintesi della partita, si può concludere dicendo che a venir meno ieri è stata esclusivamente la concretezza sotto porta. Quella stessa concretezza, cinica e spietata, che Cavani ha messo nell’azione del pareggio, non è stata rispolverata da Bresciano, Guana e Simplicio, tutti e tre alla conclusione ravvicinata ma errata nella ripresa. Peccato: specie se si pensa che proprio il brasiliano e l’australiano sono stati i mattatori nelle gare rispettivamente contro l’Udinese e la Samp. Troppa grazia, direte voi? Meglio pensare all’empasse di una sera d’inverno. LEVAN Di sfortuna si deve esclusivamente parlare, invece, quando si cita il nome di Levan Mchedlidze. Il diciottenne georgiano ha avuto un impatto sulla gara, pari a quello che potrebbe avere Ibra entrando dalla panchina (come a volte, rarissimamente, è capitato) per risollevare le sorti di un Inter smarrita. E in verità, proprio ieri si è notato chiaro e lampante quel paragone all’asso svedese che venne tirato fuori al momento dell’acquisto dell’ex empolese. Presenza fisica imponente, tocco di palla e abilità nello stretto, stacco imperioso di testa e… traversa clamorosa. Se questa è l’arma in più che ancora il Palermo e Ballardini non hanno sfruttato che al 10%, si può più che ben sperare per il futuro. IL FUTURO E’ GIOVANE Purché sul futuro si punti, quando il presente vacilla e ultimamente non va neanche in campo, causa malanni e infortuni (Miccoli e Budan docet). Ballardini mantiene la calma e da Levan pretende ancora miglioramenti prima di buttarlo definitivamente nella mischia. Certo, dovrà provare ad accelerare questa trasmutazione da bella speranza in esplosiva certezza. Primo perché, in generale, oggi il calcio è delle giovani leve: con tutte le gare che ci sono da giocare vuoi mettere a confronto la vigoria fisica e l’entusiasmo mentale di un diciottenne con quelli di un giocatore con 12 anni in più? E poi c’è da considerare che le prossime mosse di mercato del Palermo potrebbero riempire ulteriormente la rosa con giovani di belle qualità e speranze, stando a quello che in ultimo ha dichiarato il presidente Zamparini (“Non arriveranno né Sosa, né Nilmar. Non serve prendere un attaccante per ovviare allassenza di Miccoli. Sarebbe da stupidi prendere un bomber solo per la piazza. Arriveranno solo giocatori giovani che, come avvenuto con Cavani, possano rappresentare il futuro del Palermo. Morganella è uno di questi” – ma sulla linea tenuta dal presidente non è inusuale riscontrare frequenti ondeggiamenti e inversioni di tendenza). A Nilmar dunque si preferirebbe Abel Hernandez, giovanissimo attaccante uruguaiano, di soli 18 anni, che gioca nel Penarol, soprannominato “La Joya”, il gioiello (il suo procuratore Pablo Bantancur dichiara: “Laffare è fatto, cè solo da stabilire quando il giocatore arriverà in Italia”). A Bogliacino (28 anni) Morganella, terzino destro del Basilea appena 19enne. Insomma, a meno di non voler vedere questa gente all’opera da titolari solo fra due o tre anni, è bene programmarne un graduale – certo – ma reale inserimento in squadra.