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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTA Vycpalek, Bronèe e il “maleducato del calcio”

di Benvenuto Caminiti Qualche tempo fa, all’epoca del Palermo di Sensi, intervistai il grande, indimenticato Cestmir Vycpalek, (il ceko ex giocatore ed allenatore rosanero, con cittadinanza.

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di Benvenuto Caminiti Qualche tempo fa, all’epoca del Palermo di Sensi, intervistai il grande, indimenticato Cestmir Vycpalek, (il ceko ex giocatore ed allenatore rosanero, con cittadinanza palermitana, anzi “mondellana” e tanto di laurea in scopone scientifico da spiaggia) e gli chiesi chi, a suo giudizio, fosse stato il più grande giocatore rosanero del Palermo. E aggiunsi, a mo’ di ...suggerimento: “Io dico che il più grande sei stato tu!”. Lui si schermì d’istinto: “No, no, no... Quando mai!”, disse, mutuando un giro di parole tipicamente dialettale: “Ce n’è stato qualcuno meglio, molto meglio di me, a cominciare da Ghito Vernazza, per altro designato come “Rosanero del secolo” dai tifosi nel concorso indetto dal Giornale di Sicilia. Ma io dico, con tutto il rispetto per Ghito, che il più grande in assoluto e senza timore di poter essere smentito, fu Helge Bronée!”. Così perentoria la sua affermazione che quasi chiusi lì la querelle e pensai di passare ad altro ma lui, spontaneamente, volle spiegarmi perché. E lo fece con una tal dovizia di dettagli (tecnici, e non solo) da lasciarmi senza parole. Già Bronée, il danese venuto dalla Francia, che giocava a sprazzi, scoperto dall’allora presidente rosanero, il principe Raimondo Lanza di Trabia, durante un suo viaggio (di piacere e che sennò?) a Nancy. “Lo vide, anzi lo ammirò – mi raccontò quel giorno Vicpalek – durante la partita Nancy-Grenoble, e fu uno spettacolo indimenticabile: Bronée giostrava da attaccante, ma era anche capace di arretrare e spezzare le trame avversarie come un rude terzino. Tutto questo quando gli girava la luna, altrimenti si eclissava e la sua squadra giocava ...in dieci! Così era Bronée, ma bastava una sua giocata per giustificare il prezzo del biglietto. Se non fece la carriera che meritava la colpa fu solo sua e non degli allenatori che non lo capivano ...Sciocchezze, lui faceva e disfaceva, solo lui, tanto che una mattina il principe lo convocò nel suo ufficio e gli disse subito, sparato in faccia: “Senta, giovanotto, lei ha grandi qualità ma le mostra solo quando le fa comodo e questo non va bene: forse che non le piace restare in Italia? Vuol tornare in Francia? Me lo dica ed io l’accontento subito!”. Bronée gli rispose con un candore di bambino: “Ma che dice, presidente? Io qui sto bene, anzi benissimo... Vedrà, a partire da domenica prossima non sbaglierò più una partita!”. E così, fu, almeno per quel campionato: giocate di prima, intuizioni geniali, dribbling irresistibili e gol strepitosi: la Favorita impazziva per lui. Era un trequartista, come ruolo, se un ruolo era possibile attribuirgli, perché era anche capace di giocare trenta metri più indietro e intervenire sull’avversario lanciato a rete. Insomma, un antesignano del gioco universale, poi invocato da Arrigo Sacchi. Ma aveva tanto genio quanta sregolatezza e la sua carriera si fermò alla Juve, dove la sua idiosincrasia verso la disciplina faceva a pugni con il celebrato “Stile Juventus” e Gianni Agnelli, sia pure a malincuore se ne liberò. Notizie, queste, fornitemi tutte in quell’intervista da Cestmir Vycpalek ma qui, oggi, i lettori di Mediagol.it si chiederanno: “E che c’entra la storia di Bronée con il Palermo di oggi, anzi di ieri, che ha battuto il Maribor?”. Beh, c’entra, altro che se c’entra perché io, nell’istante in cui ieri sera Pastore, dopo un paio di dribbling stretti in area di rigore ha scagliato quel diagonale giusto all’incrocio dei pali siglando il 3-0 ho avuto come una visione: mi è apparso davanti agli occhi come un miraggio la sagoma ondeggiante di Helge Bronée, il danese, che segnava gol così, o niente. E, pur non avendolo mai visto giocare di persona (ero troppo piccolo nel ’50 per potermene ricordare, anche se frequentavo già la Favorita) mi son detto: “Ma questo è un fuoriclasse, secondo a nessuno. Neanche al più grande della storia rosanero, come sosteneva Vicpalek: questo è più forte persino di Bronée... anche perché, pur giocando a sprazzi, come sovente capita ai fuoriclasse, la sua parte la fa sempre e non si nasconde mai. Come, invece, succedeva spesso al biondo danese proveniente dal Nancy!”. Stesso ruolo tra le linee, stessa vocazione alla giocata sopraffina, stessa capacità di suggerire palle gol a raffica, stesso tiro secco e potente, l’uno preferibilmente di destro (Pastore), l’altro di sinistro. E, soprattutto, stesso genio calcistico, inteso come inventiva, fantasia, improvvisazione: qualità tipiche solo del fuoriclasse autentico, mica dei pur tanti campioni che giocano nel nostro campionato. Perché Pastore ha solo 21 anni, ha tutta la vita davanti, può solo migliorare e, siccome tecnicamente ha già raggiunto il “top”, gli anni gli serviranno ad accumulare esperienza, a gestire i momenti morti della partita, a sveltire la sua azione sì da trasformarla ogni volta in un’azione-gol. Come si addice ai fuoriclasse. Come si addice – per parafrasare la fantasiosa espressione coniata per lui da Maradona – ai “maleducati del calcio” come lui. Che sono una rarità. Ed io, che trepido ogni giorno di più per i colori rosanero, mi chiedo: “Come tifoso, saprò meritarmela per intero l’inaudita fortuna di avere in rosa un genio calcistico come Javier Pastore?”.