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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTÀ Palermo-Milan, i tifosi e Ibrahimovic…

La rubrica del giornalista-tifoso e scrittore Benvenuto Caminiti. Questa settimana, protagonista di "Pensieri e parole in libertà" è la partita persa per 4-0 con il Milan di Ibrahimovic.

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La rubrica del giornalista-tifoso e scrittore Benvenuto Caminiti. Questa settimana, protagonista di "Pensieri e parole in libertà" è la partita persa per 4-0 con il Milan di Ibrahimovic e lumore dei tifosi rosanero dopo la sconfitta. di Benvenuto Caminiti Che tenerezza mi fanno i tifosi, specie quando sono tristi. E ieri lo erano al punto che, alla fine, se ne andavano via a passi lenti e a testa bassa. E in silenzio. Un silenzio strano, punteggiato da sibili e sussurri, tutto sottovoce, anche le imprecazioni. Qualcuna ha pure lambito le mie orecchie, erano frasi spezzate, dolenti, intrise di un dolore pudico, che non si voleva mostrare. Ma non una parola contro i giocatori. Semmai contro Ibra, che ci aveva fatto tre gol e sembrava non volesse finirla più: “E’ un curnutu, ‘stu ibrahimovic, ci fici i carni nivuri e nostri jucatura e pi mmia, dopo ogni gol, i sfuttieva puri!”, così si lamentava un ragazzotto alto e forte, che però sembrava un fuscello, aggrappato com’era al braccio di un tipino piccolo e gracile, che da come lo ascoltava e l’assecondava altri non poteva essere che suo padre. Che, infatti, così lo consolava: “Un t’inni ‘ncarricari, ca ‘sti tri gol un ci siervunu a nienti, tantu u scudettu u vinci a Juventus!”. E il ragazzo, scuotendo la testa, insisteva: “Unn’ieppi rispiettu per nostri jucatura: chi fa tri gol un ci abbastavanu?... ‘A Juventus? Può iessiri, ma prima av’a vieniri ccà, perdere a so prima partita ro campionato e poi … Poi si viri…”. Ecco, la magnificenza dei nostri tifosi: anche in una serata tutta da dimenticare, conservano la loro dignità, non danno in escandescenze, come succede, invece, nove volte su dieci, in altri stadi, quando la squadra di casa viene non solo sconfitta ma umiliata a forza di gol. Uno, due, tre, quattro… Altrove, in casi simili, la folla si ribella, urla e strepita, non le bastano i fischi, lancia maledizioni. Al Barbera, tutto questo non accade più da anni; qui si accettano serenamente le vittorie come le sconfitte . Solo sibili e sussurri, lo ripeto, ma con discrezione, quasi in falsetto, ché non si veda in giro come sono triste, come vorrei cancellare con un gesto tutti i miei cupi pensieri. Capisco più cose dopo una partita così, che mentre vi assisto e vi partecipo con ogni fibra del mio essere: ieri è stata solo sofferenza, qualcosa come novantatre minuti di martirio, ma altre volte sono stati canti e cori, applausi scroscianti e pensieri liberi come l’aria, capaci di sfidare il tempo e la logica. Tipo: "dopo questa bella vittoria, chi ci ferma più? Vogliamo l’Europa!”. Vaneggiamenti? Forse, ma sfido chiunque abbia il cuore rosanero a non farne, dopo una bella vittoria! Quindi, nel bene e nel male, andando o venendo a piedi dallo stadio, da sempre, da cinquant’anni e passa fino ad oggi, io rimugino tutta la partita nella mia testa e, ancor di più, nel mio cuore. Ma non solo, sono come un’antenna che capta il mondo che lo circonda, ovvero tutti gli altri tifosi che sciamano via raccontandosi la partita e le sue fasi come si trattasse della vita e delle sue alterne vicende. Così, ascolto, capto e non mi sfugge nulla. Il bello e il brutto e, secondo quel che mi giunge alle orecchie, capisco che domenica sarà, che partita sarà, perfino se vinceremo o no. Ieri, purtroppo, previsioni tecniche a parte, a metà strada dei tre chilometri di marcia forzata verso lo stadio, viola brutalmente la mia serenità questo dialogo tra due giovanotti, senza segni particolari: solo jeans e giubbotti. Niente sciarpa, né altro simbolo di riconoscimento. Parlano fitto fitto, ridacchiando: “Cucinu, – dice uno - ‘un c’è problema, già a fine primu tiempu, cinni calamu tri o Paliermu !” E l’altro, che quasi si scompiscia dalle risa, a mo’ di approvazione gli dà il “cinque”. Un fremito mi ha attraversato dalla testa ai piedi, avrei voluto prenderli per il bavero e gridar loro in faccia: “E magari vi mischierete in curva coi tifosi del Palermo, è vero? Parassiti, ecco quel che siete: abbiate almeno la dignità di vestirvi coi vostri colori e andarvene nella gabbia!”. Ma mi sono trattenuto e so io la fatica per riuscirci, ma l’esperienza di anni ed anni mi ha insegnato almeno questo: che certa gente va ignorata, come non esistesse, perché in effetti non esiste, è gente straniera, nel senso peggiore del termine. Perché ognuno è libero di tifare per chi vuole, anche se è di qui e tifa per MilanInterJuve; costui non è straniero, ci mancherebbe, solo che il suo tifo non lo nasconda, solo che non se ne vergogni al punto da travestirlo e mischiarlo nel bel mezzo del tifo di casa. Come s’apprestavano a fare quei due, vestiti normalmente e tuttavia travestiti dentro: fuori sembravano tifosi rosanero, dentro lo erano per il Milan. E chissà come si sono divertiti, vedendoci soffrire gol dopo gol. Un moto di rabbia che mi ha accompagnato fino al fischio d’inizio; poi per niente e nessuno c’è spazio nel cuore del tifoso, tranne che trepidare per la squadra del cuore: Come ho fatto io, come hanno fatto gli altri ventimila dello stadio (tolgo i due-tre mila tra tifosi “ufficiali” sistemati nella gabbia e tifosi clandestini, sparsi in mezzo a noi): sempre fremendo ad ogni nostra azione, sempre sperando, pur sul 4-0 per loro. Così è la vita, così è il tifo. Una scena però avrei voluto risparmiarmi e, se l’avessi prevista, avrei girato altrove lo sguardo. Invece, a fine primo tempo – tre a zero per il Milan – seguendo le due squadre che lasciavano il terreno di gioco mi è toccato bermi anche l’ultima goccia di veleno: ho visto Mantovani, che pure era stato più volte “scherzato” da lui, avvicinarsi ad Ibra, dirgli qualcosa dappresso e, subito dopo, afferrare al volo la maglietta che quello s‘era appena sfilata. Che dire? Mi è sembrata, quella sì, un’umiliazione, ma posso capire che molti non mi capiranno e invece diranno che si è trattato di un bel gesto: Ibra che regala la sua maglia a Mantovani è come rendere l’onore delle armi all’avversario. E’ sport. Ma io ci vedo più la munificenza del conquistatore che la generosità dell’avversario che ti ha strabattuto. Che posso farci, se sono fatto male? Una cosa è certa: vi racconto sempre la mia verità, senza trucchi e senza inganni. Altrimenti, non mi sentirei la coscienza a posto…