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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTA La festa del Barbera, la protesta dei tifosi, Miccoli il capitano

di Benvenuto Caminiti Tutto l’anello inferiore della Curva Nord - ed in parte anche quello superiore - era stracolmo di tifosi, che aspettavano il rientro in sede, dopo il lungo ritiro in.

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di Benvenuto Caminiti Tutto l’anello inferiore della Curva Nord - ed in parte anche quello superiore - era stracolmo di tifosi, che aspettavano il rientro in sede, dopo il lungo ritiro in Carinzia, dei propri beniamini rosanero. Dodicimila almeno (una splendida rilucente nuvola rosa ) che cantavano gli inni della domenica, anche se non era domenica; intonavano i cori della vittoria anche se non c’era in palio nessuna partita da vincere. Bandiere al vento e striscioni, striscioni ed ancora striscioni: tutti di protesta contro la tessera del tifoso, che il tifoso rifiuta, considerandola un insulto alla propria fede, una provocazione così intollerabile da costringerli a disertare gli spalti : “Per l’ingresso nessun permesso e nessun compromesso/Noi ultras tutti fuori da adesso!!!”. Una rinuncia terribile, direi contro natura, nel senso che un ultrà tutto può fare, per rabbia e disperazione, tranne rinunciare alla partita della squadra del cuore. Nella festa del ritorno a casa dei giocatori rosa la protesta a suon di striscioni degli ultras della curva rappresenta l’unica nota stonata, se così posso definirla. Stonata perché stonava con la gioia mostrata all’ingresso in campo dei giocatori e, prima di loro, di Delio Rossi, entrato per primo, coi suoi birilli colorati in mano, che andava disponendo sul terreno di gioco, accolto da una vibrante salva di applausi. Delio, interrompendo per un attimo, il suo gioco coi birilli, tirava su lo sguardo, alzava le braccia e le sventolava: roba di un attimo, come a dire: “Grazie!” e lo faceva alla maniera sua, pudicamente, senza inutili indugi, ché lui era lì per lavorare e c’era ancora tanto da fare perché i suoi giocatori trovassero poi tutto pronto per iniziare l’allenamento. Ed il boato che accoglieva i giocatori era infatti un’esplosione di felicità, che quasi li coglieva di sorpresa, tanto che, d’acchito, nessuno alzava gli occhi per guardarli quei tifosi in festa, quasi ne avessero timore; poi, però, trotterellando in circolo sotto la curva salutavano agitando le braccia, Liverani in testa a tutti e buon ultimo un barbutissimo Nocerino, diventato sempre di più l’anima guerriera del Palermo di Delio Rossi. Bello e edificante, alla faccia di chi dice che il calcio da stadio non esiste più per il semplice fatto che si è trasferito tutto in tivvù. Non è vero, la gente, quella vera, quella che davvero ama il calcio (ed è ancora la maggior parte e tale resterà finché ci sarà uno stadio aperto, capace di accoglierli) vuole vedere e toccare i propri idoli, non si accontenterà mai di guardarli solo in tivvù. Ed infatti, il boato di prima che pareva un’esplosione è diventato un rombo di tuono interminabile quando, quasi inaspettato e da solo, è sbucato dalla bocca del sottopassaggio capitan Miccoli, le braccia levate al cielo ed un sorriso beato che si notava anche da lassù, dall’ultimo gradino in alto della curva. Sorriso che gli è rimasto incollato sul viso fino all’ultimo e pure dopo, in sala stampa quando è stato intervistato da radio e televisioni ed ha detto: ”Che meraviglia questi tifosi! Come avrei mai potuto lasciarli? Neanche per tutto l’oro del mondo. Palermo ormai è la mia città… Palermo e Lecce, naturalmente!”. Ed io, una volta di più, mi sono commosso: capita ai vecchietti, come me innamorati marci del Palermo che ogni scusa è buona... Ma è buona anche per arrabbiarsi, come m’è successo a sentire Cavani (un altro “eroe” rosanero, che s’era portata via l’anima mia di tifoso) presentarsi ai tifosi napoletani dicendo che un’accoglienza così non l’aveva mai ricevuta, che un pubblico così non l’aveva mai visto e bla… bla… bla…. Ed ho pensato, ascoltando Miccoli ed il suo amore rosanero a prova di bomba, anzi di… Birmingham, che ci sono, come diceva Sciascia, uomini ed ominicchi... Senz’offesa, naturalmente, per il “Il matador” che, per ingraziarsi sin da subito i favori del suo nuovo pubblico, ha detto qualche parola di troppo, dimenticando troppo presto chi lo ha fatto diventare quel che è adesso: un campione. Certo, l’episodio dell’aggressione subita in macchina resta una macchia vergognosa, ma per il gesto di un teppista non può pagare un’intera tifoseria. Non mi meraviglierò, quindi, se alla sua prima apparizione al “Barbera” con la maglia azzurra del Napoli, Cavani verrà accolto da un’interminabile bordata di fischi, che l’accompagneranno ad ogni tocco di palla. Semmai, penserò: che peccato, che spreco, gettar via così l’amore della gente…