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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTA Due settimane allapoteosi… Da mercoledì in vendita i biglietti

di Benvenuto Caminiti Due settimane ancora e poi l’apoteosi… I miei pensieri, i miei patemi, i miei sospiri sono tutti proiettati al 29 maggio, una data per noi già storica per.

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di Benvenuto Caminiti Due settimane ancora e poi l’apoteosi… I miei pensieri, i miei patemi, i miei sospiri sono tutti proiettati al 29 maggio, una data per noi già storica per aver consacrato nel 2004 il ritorno in Serie A del Palermo, dopo oltre trent’anni nel corso dei quali come tifoso, e perché no? Come semplice cittadino palermitano, le ho passate tutte, le peggiori possibili, a cominciare dalle retrocessioni in Serie C per finire addirittura con una radiazione. Come fossimo indegni di fare ancora parte del calcio nazionale, una vergogna da cancellare, un’onta da dimenticare. Sono così concentrato a quell’ultima domenica di maggio da restare quasi inerte non solo davanti alla sesta vittoria esterna del Palermo ma persino alle lacrime struggenti ed inconsolabili di capitan Palombo, l’ultimo ad arrendersi ad un verdetto implacabile, ahilui già scritto molto prima del fischio d’inizio della partita. Inerte e glaciale come se quelle lacrime le trovassi posticce ed invece non lo erano ed io lo sapevo solo che il mio cuore, i miei pensieri, tutti i desideri che mi restano sono ancorati alla fatidica finale di Coppa Italia, l’ultima meta da raggiungere, che poi sarebbe la prima della storia rosanero ma varrebbe come fosse l’ultima. Almeno per me che non ho più tutta una vita davanti. Inerte, proprio io che so che vuol dire vedere la propria squadra retrocedere, altro che se lo so, l’ho vissuto nella mia pelle una, due, tre, quattro e chissà quante altre volte nella mia lunga milizia di tifoso rosanero. Eppure è così, quelle lacrime le ho trovate persino esibite, quasi consegnate in olocausto ai tifosi, come a chiedere perdono ben sapendo che perdono non poteva esserci. Sì, lo so, la colpa è mia e non di Palombo, che non poteva che offrire le sue lacrime di dolore ai suoi tifosi per dire che era distrutto come loro. Come loro affranto e disperato per una stagione iniziata in Champions e finita in Serie B. Certo, era chiaro, lampante che il suo pianto era una ferita che sanguinava partendo dal cuore, certo che le sue mani ora congiunte come in preghiera ora a coprire il volto inondato di lacrime erano più struggenti di un grido di dolore, eppure io restavo inerte, insensibile, neanche sfiorato da tanto dolore. Perché? L’ho già detto: dalla notte di Palermo-Milan 2-1 sono concentrato direttamente al 29 maggio, stadio Olimpico, ore 21, tutto il resto è aria fritta, ciarpame che mi disturba perché minaccia di distrarmi dalla mia unica e sola fissazione. Che è quella di vincere finalmente la Coppa Italia e riprendermi quel che mi spetta dopo le due rapine subite a Roma nel ’74 e a Napoli nel ’79. Che posso farci, se cinquant’anni ed oltre di tifo rosanero, intriso più di lacrime che di gioie, mi hanno ridotto così: un tronco senz’anima, almeno per tutte quelle cose che tenderebbero a turbare questa mia visione paradisiaca della lunga notte che ci attende il 29 maggio? Ma è solo questo o anche vecchie ruggini legate a taluni pensieri molesti colorati di blucerchiato? Tipo, il rigore fasullo invocato ed ottenuto dal sampdoriano Flachi (ah, che brutta fine che ha fatto costui!) in quel Samp-Palermo di qualche anno fa, quando ad allenare i rosanero era ancora Guidolin? O quello più recente, appena un anno fa, quando Pazzini si buttò in area e a Rosetti non parve vero di assegnargli il rigore? Oppure quando, a partita praticamente finita, annullò il gol assolutamente regolare di Hernandez, il gol della vittoria, il gol della conquista (la prima nella storia rosanero) della Champions League? Sì, credo che a farmi diventare il cuore di pietra siano state entrambe le cose, voglio crederlo, perché di natura io partecipo alle emozioni in generale, pure a quelle, calcistiche e non, degli avversari e quelle di capitan Palombo erano così forti e struggenti da non potere, da non dovere lasciarmi di sasso. Ma così è stato ed io non sono solo solito fingere le mie emozioni, di certo non le racconto agli altri se sono fasulle. E poi quando scrivo sono ancora più sincero e disarmato di sempre, racconto solo la verità, naturalmente la mia verità, che è la sola che posso raccontare. E se neanche il gran bel gol di Miccoli (una rasoiata chirurgica su assist geniale di Ilicic) mi ha scosso più di tanto né quello di Pinilla (al termine di un’irresistibile sgroppata lunga oltre sessanta metri, l’uno-due con Hernandez e la fucilata sotto la traversa) mi ha fatto delirare come invece di solito succede ad ogni vittoria del Palermo, significa che ho ben altro cui pensare e voi ormai avete capito cos’è, anche perché è la stessa cosa che è successa a tutti voi, dalla notte di Palermo-Milan. E ce ne libereremo solo con una gioia più grande la notte del 29 maggio e sarà come una liberazione: dall’Olimpico di Roma il grido di vittoria che ne rimbomberà saprà raggiungere, dovunque essi saranno sparsi nel mondo, tutti i tifosi del Palermo. E da quel giorno, ne sono sicuro, saremo tutti più buoni, io per primo; tutti più pazienti e tolleranti, avremo tutti un sorriso per tutti e se qualcuno cade lo aiuteremo a rialzarsi. E se mi capiterà di esser vicino a qualcuno che piange le stesse lacrime straziate di Palombo, ne sono sicuro, lo consolerei e per farlo come meglio posso, piangerei con lui...