senza categoria

PENSIERI E PAROLE IN LIBERTA Delio Rossi in Europa e il segnale della folla…

di Benvenuto Caminiti Non un bel “giovedì europeo” quello contro il CSKA di Mosca, eppur segnato da due “eventi” assolutamente inediti nella mia lunga storia di.

Mediagol8

di Benvenuto Caminiti Non un bel “giovedì europeo” quello contro il CSKA di Mosca, eppur segnato da due “eventi” assolutamente inediti nella mia lunga storia di cronista-tifoso rosanero, l’uno più stupefacente dell’altro: il primo è l’aver perso in casa per 3-0 e non sentirne assolutamente, neanche di striscio, il peso, l’umiliazione; l’altro l’aver lasciato lo stadio prima che l’arbitro (un austriaco alto e dinoccolato, che aveva cominciato la partita in souplesse per finirla da autentico protagonista) fischiasse la fine. Non mi era mai successo in quasi sessant’anni di pratiche rosanero. Non mi era successo né in casa né in trasferta, così da pensare che abbandonare il mio “posto di battaglia” prima che la battaglia stessa fosse finita era assolutamente estraneo al mio dna di tifoso. Ma giovedì è successo ed ancora non so spiegarmene la ragione. E la cosa mi turba profondamente, al di là dei tre gol sul groppone, come se un sottile (ma mica tanto, poi) senso di colpa mi bruciasse in petto. Poi ho resettato un po’ tutta la ridda dei pensieri che mi porto dentro dopo ogni partita del Palermo, ho fatto in tempo ad ascoltare in tivvù le dichiarazioni post-match di Delio Rossi e… il senso di colpa se n’è volato via con tutti i veleni di contorno che solitamente lo rendono insopportabile. “Beato lui” - ho pensato - che ha sempre una spiegazione logica e coerente per ogni problema connesso al suo lavoro!”. Delio ha “fotografato” la partita con la consueta lucidità, ha “perdonato” le marachelle commesse dai suoi ragazzi, ripromettendosi di “… ripartire da questi errori per cercare di non ripeterli…”; ha sottolineato le “buone cose (fatte dalla sua squadra), tenendo il campo con dignità e orgoglio” ed ha concluso riconoscendo la superiorità avversaria, sia sotto il profilo squisitamente tecnico che dell’esperienza internazionale. Ma l’aspetto più intrigante dell’intervista (resa a sangue caldo – quello che sicuramente gli pulsa nelle vene, solo che per accorgersene, bisognerebbe studiarlo da vicino e questo di solito non si fa neanche con un fratello o un amico - subito dopo il pesante K.O. casalingo) è stato il modo in cui ha glissato sugli episodi controversi, tutti o quasi interpretati dall’arbitro a sfavore del Palermo. Rossi lo ha fatto en passant, confermando una volta di più il suo stile, che non gli consente mai di cercare alibi e/o colpevoli al di fuori della sua cerchia strettissimamente personale. Nel senso che non lo si sentirà mai, dopo un insuccesso, addebitarne le colpe a tizio o a caio, se non a se stesso. “Se questo è un uomo” era il titolo di un celebre romanzo-verità di Primo Levi e certamente Delio Rossi lo è, laddove tanti altri, magari assimilabili alla categoria degli “ominicchi” o dei “mezzi uomini” o dei “quaquaraquà” (di Sciasciana memoria) si sarebbero arrampicati sugli specchi, assegnando all’arbitro o alla sfortuna o alle forzate assenze la spiegazione vera del tracollo rosanero. Lui, no, lui non cerca mai scuse, ma spiegazioni tecniche e, se del caso, psicologiche, come ha fatto ieri al termine della partita e lo ha fatto con la solita sua flemma, la solita sua lucidità e, soprattutto, la solita sua onestà intellettuale. Con un allenatore così il Palermo è in una botte di ferro, direi blindato, se il termine non rimandasse a luoghi costretti e asfissianti. Blindato nel senso che, anche dopo il peggiore risultato possibile (e quello di ieri lo è stato e non solo numericamente ma perché riduce le possibilità di far passare il turno di Europa Uefa League al Palermo) il suo allenatore dimostra di tenere sempre fermamente in pugno le redini della squadra, dando a tutti l’impressione, ed anche di più, di saper come superare l’impasse e guardare avanti. In una parola, lui sa sempre voltare pagina, sfuggendo sia alla depressione, quando si perde malamente, che all’eccessiva euforia, quando si vince o si stravince. L’equilibrio innanzi tutto: ecco il segreto; la padronanza dei nervi, l’autocontrollo in ogni frangente, positivo o negativo, la capacità di guardare le cose con lucidità, senza mai perdere la misura, sia nei comportamenti che nelle parole. Preziosissima virtù, quest’ultima, che ti permette di non sbarellare, nella buona che nella cattiva sorte. Uno pensa: gli viene naturale, lui è fatto così, lui è freddo, raziocinante, non perde mai la calma. Ed invece, lui è tutt’altro, basti pensare al tuffo nel Fontanone dellAcqua Paola al Gianicolo (guarda la FOTO) quando la sua Lazio battè la Roma in un memorabile derby del Cupolone; basta guardarlo mentre segue dalla panchina la partita; non sta fermo un istante, va avanti e indietro e mastica senza tregua e, se c’è un calcio di rigore, a favore o contro, lui gira le spalle e se quello fa gol se n’accorge solo dal boato o dall’ululato della folla. Ieri, infatti, quando l’arbitro ha concesso il penalty al CSKA tutti, con occhi spiritati, guardavamo verso la porta lato curva Nord, lui no: lui s’è voltato, braccia conserte e, per una volta, fermo come un paracarro, ha aspettato il … segnale della folla…