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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTA’ Cosmi, la prima senza fuoco e fiamme

di Benvenuto Caminiti L’espressione mesta, lo sguardo spento: c’è tutto il peso della sconfitta, col suo bagaglio di delusione, amarezza e impotenza, nella faccia di Serse Cosmi,.

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di Benvenuto Caminiti L’espressione mesta, lo sguardo spento: c’è tutto il peso della sconfitta, col suo bagaglio di delusione, amarezza e impotenza, nella faccia di Serse Cosmi, subito dopo il 2-0 dell’Olimpico contro la Lazio. Perfino la coppola in testa sembra moscia, anonima, banale. Tanto che l’Ilaria, dal bel pettorale, lo apostrofa così: “Dal berretto alla coppola, Cosmi, in omaggio al… territorio!”. E solo qui Cosmi ha un guizzo, a stento percepito, di vitalità e precisa: “No, ma quale omaggio, questa poi ha fatto il suo tempo!”. Il tutto con un lieve, impalpabile sorriso, un flash e nulla più. Per il resto Cosmi risponde alle domande, come sempre ovvie se non scontate, di Ilaria e dei suoi opinionisti con una mestizia ed una rassegnazione che non hanno nulla in comune con la fama di duro che si è faticosamente costruita in vent’anni di onorata carriera. Dice, infatti, che “era prevedibile che il cambio di modulo avesse bisogno di tempo per essere metabolizzato dai ragazzi” ed aggiunge: “Siamo entrati in campo ed abbiamo fatto l’esatto contrario di ciò che dovevamo e che avevamo preparato in settimana…”. Per concludere: “La difesa va male, prende troppi gol, è vero, ma anche centrocampo ed attacco stentano, però non si può dimenticare che mi mancano giocatori essenziali come MIccoli e Pinilla…”. Insomma, è appena arrivato e l’impressione che ci lascia è quella di chi s’interroga: “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Ma è solo un’impressione, anzi solo un sospetto, un perfido sospetto. Il fatto è che ad osservarlo nei suoi primi novanta minuti di panchina rosanero, mi è sembrato una pallida, mal riuscita imitazione del Cosmi che io ricordavo, quello che ogni tre passi due li faceva ben al di là della cosiddetta “area tecnica”, che praticamente era sempre dentro il campo a suggerire, a scuotere e certe volte persino a … manomettere il giocatore più vicino al bordo campo. Quello di ieri, all’Olimpico, era un Cosmi spento, qualche urletto qua e là, qualche passettino fuori zona e poi solo sguardi al cielo e braccia alzate in segno di resa. Ma la cosa che mi ha colpito di più in negativo del suo esordio nella panchina del Palermo è stata gestione dei cambi, che era - almeno così ricordo - il pezzo forte del suo repertorio di allenatore-motivatore. Passi per il cambio, sin dal primo minuto della ripresa, Andelkovic-Liverani, visto che eravamo sotto di due gol, passi perfino quello di Ilicic con Acquah ma quello di Hernandez con Paolucci, ad un quarto d’ora circa dalla fine, mi è sembrato davvero incomprensibile. E assolutamente inutile. Lì veramente ho capito - tutti, penso, abbiamo capito - che, oltre ai giocatori, anche l’allenatore era fuori partita. Era da un’altra parte. Se cambio si doveva fare – ed in tempo utile, almeno per provarci - era quello di aggiungere una punta. Quindi Hernandez ed accanto a lui, a creargli spazio e magari portargli via qualche difensore avversario, il buon Paolucci, uno che in fatto di agilità e rapidità di esecuzione sa il fatto suo. Ed invece - la testa nel pallone, come si dice - che fa Cosmi? Toglie Hernandez e al suo posto inserisce Paolucci. Ovvero toglie una punta per metterne un’altra, che, con tutto il rispetto, è appena un esordiente in piena bagarre, fatti salvi i tre minuti giocati con la Juve. Come dire che anche lui, l’allenatore, non ci sperava più; che per lui pensare di recuperare due gol alla Lazio era pura utopia. Ed è questa la cosa peggiore che ho visto ieri: la rassegnazione di Cosmi, la sua resa troppo prematura. Resa e rassegnazione confermate poi in sede di intervista, durante la quale, battuta sulla coppola a parte, ha avuto un solo momento di vitalità: quando qualcuno ha fatto cenno al calo di Pastore, che si ripete da alcune partite, nelle quali parte da … Pastore ed arriva da… pecorella. Gli chiedono se è questione di condizione atletica magari sbagliata ed è una domanda perfida e tendenziosa e lui ha un fremito, nella voce e negli occhi che lampeggiano d’ira: “No, non mi va di fare questa vigliaccheria; di dire che mi hanno consegnato una bella macchina ma le gomme a terra!”. Non sono proprio queste le parole, ma questo è il senso: Cosmi non sta al gioco ed ha un moto di ribellione. L’unico nell’infausto giorno del suo esordio rosanero. Che invece mi aspettavo diverso, fuoco e fiamme, una presenza fisica debordante che non c’è stata e poteva voler dire solo una cosa: che il primo a non crederci era lui. E questo non mi sta bene. Al di là dell’esonero di un signor allenatore e di un allenatore signore come Delio Rossi. Consumato di slancio, per un moto dell’anima, come succede spesso ad un presidente straripante come Zamparini, che agisce d’impulso, cancella con un gesto un anno e mezzo di egregio lavoro e splendidi risultati e caccia via l’allenatore rosanero più vincente della storia del Palermo. E tutto questo senza nulla togliere a Serse Cosmi, che ha appena cominciato il suo lavoro e che merita rispetto. Ed … un po’ di pazienza. Che certamente otterrà dal presidente, per la prima volta in silenzio dopo una sconfitta. Chissà quali nefasti pensieri lo hanno assillato dopo il 2-0 di ieri. Tanti, troppi. Come quel Liverani, mandato in campo per disperazione, che era lontano dai campi di calcio da troppo tempo e si vedeva. Altrimenti Delio Rossi non gli avrebbe mai tolto la bacchetta del comando, lì dietro, per affidarla ad un perfetto sconosciuto come Bacinovic.