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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTA’ Applausi nonostante la sconfitta, l’incontro con Lotito

di Benvenuto Caminiti Ci ho sperato fino all’ultimo, non riuscivo a staccarmi dalla sedia della tribuna stampa, anche se ci ero arrivato alle undici scarse: “Non è possibile! - mi.

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di Benvenuto Caminiti Ci ho sperato fino all’ultimo, non riuscivo a staccarmi dalla sedia della tribuna stampa, anche se ci ero arrivato alle undici scarse: “Non è possibile! - mi ripetevo – Non è possibile perdere così, con un solo tiro in porta subito! E poi Reja se la prende se qualcuno dice che la sua Lazio è fortunata!”. La folla deve aver avuto lo stesso mio momento di impasse, è rimasta impietrita per un istante ma è bastato che i giocatori rosa corressero a braccia levate sotto la curva, come dopo una partita vinta, per esplodere in un lungo, caloroso applauso. Applauso che per me ha funzionato come una scossa elettrica, capace com’è stato di ridestarmi dal mio torpore, perché perdere non va mai bene ma se ti capita dopo aver sputato sangue, come è successo ieri al Palermo, una ragione ce l’hai per tornare a casa in pace con te stesso. E con il tuo amore rosa, rimasto immacolato nonostante la seconda sconfitta di fila. Ho captato, infatti, attorno a me solo sguardi sereni, perfino sorridenti, il che è prodigioso se accade dopo una partita “scippata” in malo modo dall’avversario. Che - voglio precisarlo per il rispetto che si deve alla verità - non ha rubato nulla: si è solo preso (anzi, forse, lo ha arraffato) quello che gli abbiamo offerto su un piatto d’argento: Bovo, infatti, si è lasciato sgusciare da sotto il naso quel furbone di Dias, che ha indovinato il tiro al volo della vita, insaccando sotto l’incrocio dei pali un pallone assolutamente imparabile. Il pallone della vittoria laziale, l’unico scagliato verso la porta rosanero, eppur sufficiente per portare via i tre punti. Nel bailamme mentale in cui mi trovavo, ho pure sbagliato… strada, non ho infilato il tunnel giusto e mi son ritrovato a due passi dalla tribuna vip, quasi occhi negli occhi con… Antonio Lotito. Sì, proprio lui, il presidente della Lazio e la sua faccia mi ha riportato indietro di qualche minuto, precisamente allo sgomento successivo al triplice fischio di Damato, quando non riuscivo a rassegnarmi ad una sconfitta così ingiusta. L’ho guardato, oh se l’ho guardato, me lo son mangiato con gli occhi e lo… spettacolo che avevo davanti non mi è piaciuto per niente: aveva stampato sul suo faccione, rotondo come l’”O” di Giotto, un sorriso beato. Che non era poi proprio beato, ma di più; era – o, almeno, così io lo vedevo – una sfida, una lama affilata che si infilava nelle mie carni di povero tifoso rosa “curnutu e bastuniatu”, perché sembrava sfottermi, dileggiarmi e goderne senza ritegno. E magari non era vero, anzi non lo era sicuramente, perché era solo contento della vittoria e del primato in classifica (ancor più consolidato) della sua Lazio. Mi ha guardato per un istante, dicevo, e si è abbottonato il panciotto blu, che gli si era sbracato durante i furiosi festeggiamenti finali. Poi ha tirato a sé un ragazzino rubicondo, che aveva accanto (probabilmente il figliolo) e gli ha regalato un sorriso così dolce che per un istante (solo un battito d’ali) me lo ha fatto diventare simpatico (diciamo quasi, per non esagerare!). Era, quella, la prova di una felicità totale che Lotito voleva condividere con il figlio. Come si addice ad ogni buon papà. E d’intorno c’era un’atmosfera serena, distesa; non è volata una sola voce contraria, la gente ha guardato e perfino sorriso al cospetto di un naturale gesto d’amore paterno. Tra il pranzo saltato e la sconfitta bruciante quel che di me rientrava all’ovile era più uno straccio che un … essere umano: avevo il cuore a pezzi, nessuna voglia di conoscere i risultati delle altre partite, nessuna voglia di metter qualcosa nello stomaco, più che vuoto, sottovuoto spinto. Ma per fortuna, visto che in casa non sono l’unico tifoso in servizio attivo, mi è capitato di ascoltare le dichiarazioni post-partita di Delio Rossi, che ha detto “bravo” ai suoi ragazzi e non ha per niente – com’è nel suo stile – cercato alibi né nella sfortuna pur evidente, né nel rigore negato da Damato: un gran signore, come sempre, un gentiluomo vecchio stampo che mi auguro resti con noi più a lungo possibile.