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IL PESO DI UNA MAGLIA IL PALERMO DEI PALERMITANI

Di Fabrizio Anselmo Sembra passata qualche primavera da quella storica notte, 29 maggio 2004, quando Palermo ed i palermitani si strinsero ad un sogno inseguito 32 anni. Piazza Politeama,.

Mediagol8

Di Fabrizio Anselmo Sembra passata qualche primavera da quella storica notte, 29 maggio 2004, quando Palermo ed i palermitani si strinsero ad un sogno inseguito 32 anni. Piazza Politeama, così come l’intera città era tinta di rosa. Il calcio era riuscito nell’incredibile impresa trasversale di unire Palermo e l’intera Sicilia in un abbraccio che superava i limiti geografici, rendendo, per una volta, una massa di individui, i palermitani, un vero popolo, fratelli e orgogliosi di poter dire al mondo: “si, sono palermitano”. Il Palermo era finalmente in serie A. Per quelli della mia generazione, la serie A era una trasmissione televisiva, nulla più. Il calcio, per chi era nato negli anni ottanta, infatti, era ben altra cosa. Il calcio erano le sfide all’ultimo sangue contro il Savoia, il Sassari Torres, il Messina allo stadio “La Favorita”, le sgroppate di Cristian La Grotteria, i dribbling di Bombardini, i gol di Guidoni, le geometrie di Cappioli, ma ancora il Palermo dei picciotti, le meteore come Hoop, Diego Gaston Herrera, Palumbo, i “goooooooool” infiniti di Monastra su Trm, il sentirsi dire da concittadini tifosi delle big italiane con le maglie a strisce: “bellu palieimmu chi c’hai”, e il perenne alternarsi del rosa e del nero negli umori di quei tifosi, “vittime” del proprio amore. Dopo 32 anni, per merito degli investimenti di un imprenditore del nord, Maurizio Zamparini, il Palermo e i palermitani entrano nell’olimpo del calcio al secondo tentativo, vincendo la serie B con una squadra che oggi potrebbe tranquillamente contendere un posto in champions league nel sempre più mediocre campionato italiano. Quel Palermo “made in Rino Foschi” aveva però preso due tra i giovani più interessanti dalla nazionale under 21, Cristian Zaccardo e Andrea Barzagli, aveva mantenuto l’ossatura di quella meravigliosa cavalcata in serie B e contava 10 giocatori italiani tra gli 11 titolari, e appena 5 stranieri tra i 24 in rosa. Dopo quell’abbuffata di calcio, e con un sogno Champions League interrottosi a Marassi contro la Sampdoria da un guardialinee di nome Cristiano Copelli, coinvolto tra l’altro nelle intercettazioni di calciopoli, qualcosa si rompe. Il condottiero e mentore della squadra rosa, Francesco Guidolin, abbandona la barca affermando che quel Palermo non era in grado di fare più di quello che aveva fatto, strizzando l’occhio al progetto viola che di lì a poco avrebbe portato il re di Palermo, Luca Toni, nella squadra gigliata, e i 35 mila abbonati della prima stagione scendono a 25 mila. Nel susseguirsi delle stagioni, tuttavia, il rosa prevale a quel nero che diviene sempre più sbiadito, e così si raggiungono traguardi storici ed impensabili per chi aveva vissuto una finale di coppa italia di serie C come la finale di un mondiale. Semifinale di coppa italia, ottavi di finale di coppa uefa, ed ancora piazzamenti record in serie A, fino a quella magica notte del 29 maggio 2011 dove il Palermo vede sfumare la vittoria sotto i colpi di Eto’o e Morganti. Da quella notte sono passati poco più di 2 anni ma sembra passata un’eternità. Di quegli 11 leoni sono rimasti Josiph Ilicic, Abel Hernandez e Fabrizio Miccoli, il primo che dopo tanti anni da titolare non ha ancora preso coscienza dei suoi incredibili mezzi tecnici, il secondo smarritosi tra infortuni e sfortuna, ed il terzo che, nonostante l’ età, tira avanti “la baracca” praticamente da solo. I sostituti dei vari Cassani, Migliaccio, Balzaretti, Nocerino, Pinilla, Liverani, Pastore, Cavani, oggi si chiamano Nelson, Barreto, Garcia, Rios, Dybala, Donati, Morganella, Boselli. Cambiano i giocatori, cambiano gli allenatori, cambiano i direttori sportivi, cambiano gli amministratori delegati, ma il presidente rimane sempre lo stesso, anzi no. Non ce ne voglia il presidente Zamparini ma è la storia a parlare, sono i numeri. In due anni il presidente riesce nella non facile impresa di smantellare una squadra che, se puntellata nei giusti reparti, avrebbe potuto lottare per traguardi prestigiosi in una serie A sorpassata nel ranking addirittura dalla Bundesliga. Oggi le grandi squadre si chiamano Juventus, con una rosa tecnicamente inferiore alle “grandi” degli altri campionati ma con un grande carattere, Napoli, cinque milioni d’ingaggio a Cavani per garantirgli una maglia da titolare, Lazio, grande organizzazione di gioco ma un solo grande talento, Klose, e Milan, blasone e mentalità con una squadra dagli evidenti limiti strutturali. Non ce ne voglia il presidente Zamparini ma è la storia a parlare, sono i numeri. Il solo ingresso in Champions League avrebbe potuto portare a circa 15 milioni di euro netti, a cui poi vanno aggiunti diritti tv, sponsor, merchandising, biglietti, e, considerato il bacino dei tifosi palermitani nel mondo, la cifra avrebbe potuto superare di gran lunga i 50 milioni di euro. Non ce ne voglia il presidente Zamparini se quei tifosi sognavano il salto di qualità invece di un perenne distruggere per ricostruire. Non ce ne voglia il presidente Zamparini se i tifosi chiedevano solamente di resistere alle lusinghe e ai milioni di euro delle altre squadre, avvalendosi di quel pezzo di carta chiamato contratto, che costringe un professionista, pagato per dare calci ad un pallone, a sudare per la maglia per cui ha firmato fino al termine del contratto. Non ce ne voglia il presidente Zamparini se, in barba alle logiche di mercato che portano sicure plusvalenze, si chiede l’acquisto di 3 giocatori veri e non di 10 sconosciuti da valorizzare e rivendere ad ogni sessione di mercato. Non ce ne voglia il presidente Zamparini se gli facciamo notare che i tifosi c’erano già molto tempo prima del suo arrivo, e non hanno di certo paura né della serie B, né di nessun’altra categoria perché al tifoso vero non interessa il colore della maglia degli avversari, ma il rosa della propria maglia. Non ce ne voglia il presidente Zamparini, ma quella “sparuta minoranza” di contestatori, di critici, mentre il presidente indicava la luna, non guardavano il dito. Non ce ne voglia il presidente Zamparini se gli facciamo notare che quando ci elenca i suoi valori morali di amore, trasparenza, onestà e serietà, gli si chiede di trasmettere questi valori ad una squadra ed un popolo che non è rappresentato da Maurizio Zamparini ma dagli oltre cinque milioni di palermitani sparsi in tutto il mondo. Non ce ne voglia il presidente Zamparini se gli ricordiamo che quella maglia per i tifosi non è un’azienda ma una delle poche cose per cui in questa città si può essere fieri di dire: “si, sono palermitano”. Fabrizio Anselmo