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Inglesi: niente humor, solo invidia

di Fabio Giacalone Niente sesso, siamo inglesi. Il vecchio e comune detto che identificava le morigerate e puritane maniere della società anglosassone, dovrebbe adesso esser cambiato in:.

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di Fabio Giacalone Niente sesso, siamo inglesi. Il vecchio e comune detto che identificava le morigerate e puritane maniere della società anglosassone, dovrebbe adesso esser cambiato in: ‘Niente Italia, siamo britannici’. E già, perché ormai pare che gli inglesi rifiutino e critichino il modello italiano praticamente su ogni aspetto della vita sociale, economica e persino sportiva. Gli autorevoli giornali dell’establishment finanziario di Sua Maestà, primo fra tutti il Financial Times, ci danno - con dispregiativo giudizio – sempre pateticamente sull’orlo della crisi recessiva (in effetti, come dargli torto?). Gli stessi giornali continuano la polemica anti-italica prendendosela pure con il nostro capo del governo, ritenuto dai figli di Albione ‘non all’altezza del ruolo’ (non mi pare che la Regina Elisabetta sia tanto più ‘alta’ del Cavaliere). Ma che si mettano anche a denigrare il calcio di casa nostra…beh, ora esagerano! Ieri il Times pubblicava una cortese disamina in cui la serie A italiana veniva definita “un campionato di pensionati del pallone, ormai senza più stimoli”, surclassata naturalmente dai fasti (secondo il loro punto di vista) della Premier League - terra di campioni acclamati, culla di future stelle - e persino della Liga spagnola. Per avvalorare questa tesi, la testata britannica prendeva spunto dagli ultimi colpi di mercato delle società italiane: “Chi avrebbe immaginato che il solo modo per vedere Sheva o Ronaldihno in serie A sarebbe stato a causa dell’imprevisto declino dei due giocatori? O che il Milan avrebbe preso uno senza fortuna come Philippe Senderos in prestito dall’Arsenal e che un autentico flop come Rolando Bianchi avrebbe avuto tre quarti delle squadre italiane pronte ad ingaggiarlo, dopo che finalmente il Manchester City è riuscito a liberarsene?”. Ora, sarà pur vero che negli ultimi tre anni, specie dopo il disastro di Calciopoli, il calcio italiano ha faticato per riemergere dal baratro in cui era caduto (tra l’altro in un periodo congiunturale per nulla favorevole visto che la crisi economica è attualmente abbastanza globalizzata). Ma è altrettanto vero che, giusto nello stesso arco di tempo, abbiamo vinto un mondiale e non abbiamo mai fatto mancare la presenza delle nostre squadre di club all’interno del prestigioso palcoscenico delle coppe europee (dove mi sembra che proprio il Milan, una squadra italiana, solo due anni fa vinceva la sua ennesima Champions League e lo scorso anno conquistava il mondiale per club). Che poi si stia assistendo all’alternanza di affermazioni nazionali sui tetti calcistici d’Europa, è un bene piuttosto che un male. Che le squadre inglesi quest’anno abbiano spopolato in Champions e la Spagna abbia conquistato l’Europeo non può che essere un premio ad un maggiore equilibrio e ad una maggiore competitività interna del calcio del vecchio continente. Se poi, però, gli inglesi vogliono insistere nel paragone irriverente per puro spirito di contraddizione, allora analizziamo la situazione punto per punto. Loro sostengono che siamo ‘troppo vecchi’? Beh, forse si saranno fatti condizionare eccessivamente da fulgidi esempi di longevità calcistica come quello di Paolo Maldini. Ma forse questo vuol dire che in Italia siamo in grado di tenere più a lungo integri i nostri campioni, quasi li mettessimo nella formaldeide. I giovani di talento li abbiamo pure noi, cosa credono gli inglesi? Non mi sembra di aver visto alle Olimpiadi la maglia bianca dei leoni britannici. Così come assente era pure ai recenti Europei. E infine, chi dice che ‘anziano’ non sia meglio? Prendiamo il caso del nostro Alberto Jimmy Fontana: dall’alto dei suoi 41 anni vale molto di più di quel James del Portsmouth, titolare della nazionale del Regno Unito che per le sue esilaranti prodezze fra i pali in patria hanno ribattezzato Calamity James! Vogliamo, inoltre, proseguire contando il numero di campioni affermati che giocano nell’uno e nell’altro campionato. A me sembra che a parte Cristiano Ronaldo, Rooney, Tevez, Fabregas, Gerrard, Lampard e Drogba, il resto della schiera di stelle inglesi non sia poi nulla di così inarrivabile. Forse gli inglesi citerebbero anche Deco? Ma non mi sembra che il portoghese sia all’anagrafe più giovane di Ronaldinho. In Italia con Kakà, Totti, Ibrahimovic, Del Piero e Cassano abbiamo un quintetto di classe stratosferica, difficilmente eguagliabile in altri contesti. Per non parlare di tutto il contorno, dove ci saranno pure campioni attempati, ma che sempre campioni sono. Forse la nostra pecca risiede nel non saper valorizzare a dovere (in questo gli inglesi sono molto più bravi) i prodotti dei vivai nazionali (qualcuno, come Giuseppe Rossi, lo abbiamo pure fatto fuggire all’estero). Ma i talenti verdi ci sono, non scherziamo. Giovinco, Montolivo, Aquilani, Lanzafame, Nocerino, Chiellini, e la lista potrebbe continuare. E poi gli inglesi, che tanto si riempiono la bocca con le grandezze del loro calcio, si sono mai resi conto che di britannico la Premier ha poco o nulla? Vogliamo ripetere insieme i nomi dei tecnici delle squadre top class della Premiership? Sir Alex Ferguson, scozzese; Arsene Wenger, francese; Luis Felipe Scolari, brasiliano; Rafa Benitez, spagnolo. Non c’è un inglese-inglese nemmeno a pagarlo. Vogliamo dare il colpo di grazia ai cugini d’Oltremanica? Come si chiama il commissario tecnico della loro squadra nazionale? Ne passerà del tempo prima che un tecnico inglese sieda sulla panchina azzurra! Beh, come si può notare non c’è partita, al netto degli scandali, della violenza negli stadi e delle ristrettezze economiche. Diciamo pure che in Premier di veramente inglese c’è la mediocrità delle squadre non di primissima fascia. Ricordate che fine fece il West Ham nella sfida di Coppa Uefa, giusto due anni fa, contro il Palermo? Strapazzato malamente dall’undici capitanato dall’attempato Eugenio Corini. Eppure le due squadre, in rapporto, avrebbero dovuto rappresentare entrambe il valore medio dei rispettivi campionati. Ciò significa che il campionato italiano, nonostante la sperequazione dei diritti televisivi, è ancora uno fra i più equilibrati, se non il più equilibrato d’Europa e quindi quello dove si fatica di più per affermarsi, dunque il più avvincente (che è attributo diverso rispetto a ‘spettacolare’). Gran parte del merito va tributato alla scuola calcistica dello Stivale e alla sagacia strategica dei nostri tecnici, che riescono a cavar fuori il meglio anche da parchi giocatori senza particolari stelle splendenti. Ecco spiegato il motivo per cui, venendo ad allenare da noi, uno come Josè Mourinho (che d’ora in poi gli inglesi ci invidieranno) ha potuto affermare: ‘Sono qui per imparare’. Terminiamo ritornando alle cose di ‘casa’ nostra. Puntare sui giovani nel calcio moderno, così fisico e denso d’impegni, è sicuramente un vantaggio. Ma nulla può ancora sostituire il valore aggiunto dell’esperienza, maturata dopo anni passati a combattere sui campi di calcio. Il Palermo di quest’anno, per esempio, ha cercato di puntare molto sui giovani. Ma se la squadra non avesse due elementi di spessore ed esperienza come Liverani e Miccoli, potrebbe dire addio a qualsiasi ambizione di affermazione sportiva. Il concetto è così limpido che anche il probabile arrivo di Suazo non fa che avvalorarlo.