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FOCUS: TRA LE PIEGHE DI UN EPILOGO ANNUNCIATO

FOCUS: TRA LE PIEGHE DI UN EPILOGO ANNUNCIATO

Il tecnico marchigiano paga anche colpe non sue. Alla base dell'esonero un rapporto ormai logoro con il patron e una sostanziale divergenza sul reale valore dell'organico

Mediagol2

di Leandro Ficarra

Epilogo annunciato. La domanda non era se e come ma semplicemente quando. Puntualmente l’esonero di Iachini si è materializzato. Epitaffio di un rapporto logoro, saturo, irrimediabilmente compromesso. L’idillio tra il tecnico marchigiano ed il patron si interrompe bruscamente subito dopo il successo contro il Chievo. Boccata d’ossigeno per la classifica, illusorio mastice inadeguato a tenere insieme i cocci di un legame ormai in frantumi.

Provvedimento di matrice interpersonale e relazionale ancor prima che tecnico. Quando, come nella fattispecie, viene meno il rapporto di stima e fiducia nella bontà dell’operato del professionista, qualsiasi divergenza di vedute diviene inconciliabile. Scavando un tunnel di conflittualità, ripicche ed incomprensioni, che diviene un rovinoso sentiero di non ritorno. Una torbida palude di incomunicabilità tra le parti alimentata da stilettate, provocazioni, insofferenza e tensioni represse, da cui la squadra finisce inevitabilmente con l’essere sommersa. Con il timore, concreto, di affogare.

Prima di entrare nel merito della decisione, preme fare un doveroso prologo. Che si traduce in un plauso, sentito ed incondizionato, rivolto all’ormai ex tecnico del Palermo. Senza piaggerie, in rispettoso ossequio alla verità. Impossibile omettere e dimenticare la qualità del lavoro svolto in questi circa due anni da Beppe Iachini. Il quale con saggezza, competenza e dedizione, restituì equilibrio, dimensione e rotta ad una nave reduce dalla retrocessione ed inopinatamente in balia delle onde del campionato cadetto.

Subentrando alla scommessa Gattuso, conferendo ben presto fisionomia, intensità ed anima ad una squadra qualitativamente un paio di spanne superiore alle contendenti. Che non era ancora tale, nei meccanismi e nello spirito, prima del suo arrivo. Il varo del 3-5-1-1, la densità, il pressing alto, la riscoperta di Vazquez, il rilancio di Munoz e Barreto, il training formativo a Lazaar e Morganella, la cura meticolosa e paziente nel coltivare il genio di Dybala, la vena di bomber di Belotti.

Valori aggiunti che il buon Beppe ha ottimizzato al massimo riconquistando a suon di record la massima serie, gettando le basi per un successivo brillante torneo al tavolo delle grandi.

Prodigi strategici, tattici, motivazionali che hanno trovato riscontro nei risultati e nei consensi della critica. Culminati nella scorsa stagione in esaltanti picchi prestazionali, dai blitz esterni di Milano e Roma al trionfo sul Napoli di Benitez, che consacrarono organizzazione, identità e qualità del suo Palermo.

Squadra solida, compatta e aggressiva esaltata dal talento cristallino dei gemelli diversi Vazquez e Dybala.

Meriti in termini di valorizzazione tecnica e patrimonializzazione dell’organico. Alla base dell’astronomica valutazione di Dybala, così come negli otto milioni sborsati da Cairo per Belotti, c’è molto del lavoro di Iachini. Stessa cosa dicasi per le future valutazioni di Vazquez e Lazaar, prossimi gioielli in vetrina in sede di mercato estivo.

Un biennio in cui raramente il tecnico marchigiano ha rubato l’occhio ma ha fatto molti punti. Forgiando le risorse in organico, limando difetti collettivi e individuali, perseguendo gli obiettivi richiesti. Conciliando le esigenze tecniche con quelle aziendali, spesso con veri e propri giochi di diplomazia ed equilibrismo dialettico. Incassando con sobrietà critiche e bacchettate presidenziali espresse in toni e forme non sempre gradevoli, spesso un po’ troppo colorite per usare un eufemismo.

Tabellini, risultati e plusvalenze certificano incontrovertibilmente la bontà del lavoro svolto da Iachini sulla panchina del Palermo. Dato oggettivo che nessuno potrà disconoscergli.

Il resto è storia recente. Il flirt effimero con la Sampdoria, da cui Iachini fu sedotto ed abbandonato nella primavera scorsa, infastidì non poco il patron friulano. Le integrazioni ed i correttivi da apportare nel Palermo del post Dybala costituirono presto aspro oggetto del contendere. Non un solo nome, tra quelli indicati da Iachini in un’ipotetica lista di rinforzi, veste ad oggi la maglia del Palermo. La sequenza inquietante di trattative fallite, da Viviani a Defrel, passando da Tonelli e Calleri, da Araujo a Campbell, fino alla cessione lampo di Belotti a pochi giorni dal via. Benzina sul fuoco dei nervi del tecnico che ritenne inadeguata la campagna trasferimenti palesando pubblicamente il suo pensiero.

Quel grido d’allarme, legittimo ed accorato, costituì lo squarcio definitivo per l’ego e la suscettibilità di Zamparini. La guerra di nervi tra i due, appena smorzata dalle due vittorie iniziali, si è progressivamente acuita all’insegna del sistematico botta e risposta. Il poker di sconfitte consecutive, il bivio tregua di Bologna, le pedate verbali post Napoli e la promessa di esonero ante Chievo. Mantenuta, nonostante la vittoria e la netta presa di posizione del gruppo.

Le lacune strutturali dell' organico attuale sono obiettivamente evidenti. Figlie di un mercato asfittico, supponente, per certi versi presuntuoso. Sessione estiva in cui il club ha fallito gran parte degli obiettivi prefissati.

Vizio ascrivibile all’operato di presidente e direttore sportivo, alla base delle criticità emerse in quest’avvio di stagione. La grande colpa, se così si può definire, di Iachini è stata quella, pur tra mille rimbrotti, di accettare comunque la scommessa, esponendosi alla prevedibile gogna presidenziale, con tanto di scontata epurazione.

Tenuto in piedi da un monumentale Sorrentino, Iachini ha pagato la lunga crisi di Gonzalez, l’inizio in chiaroscuro di Vazquez, gli stenti di Rigoni, la condizione precaria di Gilardino. Ha provato a mischiare le carte sul piano tattico, trovando in Quaison, Trajkovski e Brugman alternative di prospettiva ma ad oggi acerbe. Orfano di una punta tecnica e di manovra come Dybala, ha provato a coniare una fase offensiva a trazione laterale, a misura di Gila,  vedendosi infrangere l’intento sul rendimento, fin qui mediocre, di Rispoli e Lazaar. Sperando di trovare in Hiljemark un incursore all’altezza di fraseggiare di fino con un Vazquez frustrato ed intristito. Quindi il ricorso al vecchio spartito ed al carisma dei senatori nei momenti più critici. Pragmatismo, concretezza e personalità per portare punti a casa.

Tutto inutile. Primo tempo contro l’Inter a parte, questa squadra non ha mai convinto. Né disposto dell’avversario sul piano del ritmo, della qualità del gioco. Arrancando quasi sempre, smarrendo intensità, aggressività e ferocia, prerogative vincenti del Palermo che fu.

Iachini, che sotto pressione ha indubbiamente commesso i suoi errori, non ha certo nella lettura della gara in corsa la sua migliore virtù ma, in relazione alla penuria di alternative nella rosa a sua disposizione, merita più di qualche attenuante.

L’esonero è  una scelta discutibile, tecnicamente ingiusta se parametrata al rapporto tra punti conquistati e qualità dell’organico. Al contempo è un provvedimento inevitabile quando si incrina totalmente il rapporto di fiducia tra presidente e allenatore. Prolungare l’agonia, tenendo il gruppo ostaggio di questo stillicidio di tensione e precarietà, avrebbe avuto poco senso.

Grazie a Beppe Iachini. In bocca al lupo a Davide Ballardini. A lui il compito di trasporre sul campo le convinzioni di Zamparini. Il presidente è certo che , con tre innesti di qualità a gennaio, questa squadra possa serenamente stazionare nella parte sinistra della graduatoria. Speriamo che abbia ragione. E, soprattutto, che gli obiettivi di mercato vengano centrati.