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Focus: Scorie, spettri e dubbi amletici. De Zerbi, essere o non essere?

Focus: Scorie, spettri e dubbi amletici. De Zerbi, essere o non essere?

La quarta sconfitta consecutiva rimediata in Sardegna ha ribadito una verità difficilmente confutabile. Non c'è strategia che tenga al cospetto di palesi lacune collettive ed individuali. Disquisire di moduli ed equilibri lascia il tempo che...

Mediagol2

di  Leandro Ficarra

Frustrazione, caos, pochezza. Cocktail amaro, foriero di inquietanti presagi. Numeri impietosi, classifica allarmante, lacune evidenti. Poker di stop consecutivi, caterva di gol subiti, manifesta inferiorità al cospetto dell’avversario. Canovaccio periodico e desolante. Pari di Genova, sponda blucerchiata, ultimo scorcio di luce. Poi buio pesto. Organico e prestazioni alla mano, ogni disquisizione di matrice tattica diviene marginale. Attendista o spregiudicato, accorto o baldanzoso, conservativo o propositivo. Esercizio dialettico e concettuale, sfizioso ma evanescente. Contorna il cuore del problema senza centrarlo. Criticità e crepe strutturali sono emerse con ogni dinamica e da ogni prospettiva.

Evidenti in ogni reparto, disarmanti dalla cintola in su. Deficit di qualità, personalità, varietà d'opzioni conformi agli standard della categoria. Facciamo fatica a contare più di cinque effettivi il cui background legittimi la militanza in massima serie. Encomiabili gregari, prototipi acerbi di presunti talenti, qualche eterna promessa rimasta tale.

Applicata ma perforabile dietro, piatta ed impalpabile in mezzo, inconsistente e sterile davanti.

Imperizia, supponenza palesi in sede di allestimento dell’organico imputabili alla dirigenza del club con in testa il patron Zamparini. Il quale, dopo aver scherzato col fuoco nella scorsa stagione, ha ripreso a camminare sui carboni ardenti. Ignorando che non incrocerà sul suo percorso Ballardini nelle vesti del buon samaritano, Vazquez il genio della lampada, Sorrentino, Maresca e Gila i tre invincibili moschettieri.  Senza i giganti buoni la favola rischia di non avere lieto fine.

De Zerbi è esordiente tra gli esordienti. Tanto per non farsi mancare nulla. Elevando allo stremo il coefficiente di criticità. Il suo calcio è propositivo, coraggioso, intraprendente.

Ha da subito provato a shakerare idee, saggezza e buon senso. Mostrando duttilità, plasmando il suo credo sull’altare di equilibri collettivi e attitudini dei singoli. La strada  pareva maestra fino al pari di Marassi. Quindi  sosta e batosta contro il Toro. Match crocevia del suo mini ciclo. Scelte e strategia contro i granata fallimentari. Sprazzo di integralismo condito da un pizzico di presunzione. Equilibri fin lì solidi, sconvolti da scelte sorprendenti nell’undici iniziale. Nella convinzione, illusoria, di disporre già di sincronismi ed automatismi tali da guardare il Toro dritto negli occhi. Senza restare infilzati. Quello schiaffo ha insinuato il gene del dubbio, i tonfi contro Roma e Udinese  minato autostima e convinzione.  Ledendo alchimia, sinergia,  connessione tra squadra e tecnico. Entusiasmo che lascia il posto alla paura. Quadro mentale che diviene fardello insostenibile per una squadra fragile di suo.

La formazione iniziale di Cagliari mal si concilia con il verbo calcistico e la filosofia di De Zerbi.

La sensazione è che sia figlia di confronti, consulenze presidenziali, valutazioni collegiali. Retaggio di scorie nella testa del tecnico. Timori, contingenze, pressioni mediatiche, peso specifico del match. Tutti fattori che potrebbero  aver soffocato alcune scelte orientandone altre.

4-1-4-1 schiacciato a protezione della propria area, votato esclusivamente al contenimento ed alla densità  in perfetta antitesi con il De Zerbi pensiero. Aleesami bloccato a vantaggio di un Quaison anonimo in fase di spinta, rovinoso in copertura. La rinuncia a Gazzi, Bruno Henrique e Diamanti. Unici ad incarnare i concetti di sagacia, fosforo e qualità. L’ostinarsi su Hjliemark e Chochev, scolastici, ordinari e compassati, sui cui datati margini di miglioramento è legittimo iniziare a dubitare. L’incognita Embalo, l’encomiabile Nestorovski a dimenarsi stoicamente abbandonato al suo destino.

L’ espressione del tecnico, dopo il primo tempo a reti bianche, era eloquente. Poi Quaison, a difesa schieratissima, si perde Dessena. L’errore individuale marchiano stronca ogni assetto e strategia. Reiteratosi poco dopo. Il doppio vantaggio sardo è una sentenza. Se ti rannicchi timoroso e pavido su te stesso, dieci sotto la linea della palla, i cazzotti li prendi uguale. Oggi sbaglia Quaison, ieri Posavec, Rajkovic, Andelkovic, Embalo, Aleesami, Goldaniga. Domani chissà. La caratura dei singoli determina. Qualità ed esperienza delineano le gerarchie. Ingresso di Diamanti e Bruno Henrique, passaggio al 4-3-2-1, baricentro alzato di venti metri, fraseggio avvolgente e ragionato, terzini che sovrappongono, interni che vanno dentro, almeno ci provano. De Zerbi ridisegna la sua squadra, fa pace con se stesso. Il Palermo accorcia ma non basta. Mancano tempo e risorse

Morale della favola: non esiste  strategia conservativa, prudente, attendista, che possa sopperire ai limiti strutturali di collettivo e singoli interpreti,  garantendo la conquista di punti. Il mercato sembra l’unica ancora di salvezza ma gennaio è lontano. La ricerca di un gioco propositivo ed audace, con i dovuti accorgimenti, ci sembra l’unica strada logica per  acquisire un livello di competitività credibile. Non rinunciando a priori ad inseguire una salvezza realisticamente molto complicata.

O si ha piena fiducia nel verbo calcistico del tecnico, legittimandone principi ed autorevolezza agli occhi del gruppo, o si cambia manico se questi presupposti iniziano a vacillare. Confermare De Zerbi commissariandone idee e gestione non è una grande idea.