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Perù: sbaglia rigore e dirigenti tentano omicidio

Di Calogero Fazio.

Mediagol8

Di Calogero Fazio

Clamoroso in Perù: il giocatore sbaglia un calcio di rigore e i dirigenti lo picchiano selvaggiamente. Questa terribile storia ha come protagonisti il calciatore dell’Union Fuerza Minera, Martin Dell’Orso (suo malgrado) e due dirigenti dello stesso club peruviano, nelle figure dei vicepresidenti Omar e Ramiro Sucasaire. Secondo una prima ricostruzione fornita del giovane calciatore alla tv del suo Paese, i due lo avrebbero raggiunto armati di revolver, mentre Dell’Orso si trovava a bordo della sua auto in compagnia della propria fidanzata, al termine del match tra l’Union e il Saetas de Oro, con il chiaro intento di ucciderlo.

E pare che lo abbiano picchiato selvaggiamente alla testa e al corpo con il calcio del revolver, mentre questi tentava di fare scudo con il corpo per proteggere la giovane fidanzata. Solo l’intervento di un certo Comandante Vazquez - così dice il ragazzo nel corso dell’intervista, potrebbe trattarsi di un pubblico ufficiale in servizio - ha evitato che Dell’Orso perisse barbaramente sotto i colpi dei suoi aguzzini. Il giovane calciatore ha rimediato cinque punti di sutura alla testa, oltre a varie ferite sparse su tutto il corpo. Intanto il club peruviano, attraverso una nota ufficiale, ha prontamente smentito l’accaduto, ritenendosi totalmente estraneo ai fatti.

La tragedia sfiorata ieri in Perù fa molto riflettere. Purtroppo il mondo del calcio non è nuovo a casi come questo in cui determinate pulsioni di tifo sportivo si traducono in casi di esecrabile violenza, che finiscono per tradire l’autentica vocazione dello sport e i suoi valori che guardano al rispetto reciproco e alla fraternità fra persone di culture diverse, accomunate dalla passione per le competizioni agonistiche. Ci si allontana, altresì, da un’altra importante missione dell’etica sportiva, che sostanzia la sua stessa ragion d’essere: ovvero l’educazione e la trasmissione di valori positivi alle future generazioni. Affinché il calcio svolga la sua funzione sociale e civica, è fondamentale rimarcare che si tratta pur sempre di uno sport e che dunque, per sua precisa vocazione, non può degenerare in manifestazioni violente come quella di cui è stato vittima Dell’Orso. La cui “colpa” sarebbe quella di aver danneggiato la squadra d’appartenenza e, secondo modalità perverse di pensiero (in questo caso fatte proprie dai due dirigenti dell’Union), tale “crimine” deve essere sanzionato addirittura con la morte.

Si cade nel grottesco, si arriva a sfiorare la tragedia, in un misto di irrazionalità e pazzia criminale che si pone molto aldilà di quel modo di concepire lo sport che ne sostanzia la sua precisa ragion d’essere. La logica dell’interesse (molto pregnante nel calcio di oggi) ha forse preso il sopravvento nell’odierno universo pallonaro, generando animosità spropositate e fuori luogo persino fra gli stessi protagonisti dello sport più amato del mondo. Queste, spesso, sfociano in comportamenti poco decorosi e conseguenze nefaste. Ovvero, fanno venir meno quella funzione educativa che rappresenta il fulcro della “mission” del calcio e dello sport in generale.

È di fondamentale importanza rimarcare convintamente tale funzione, per prevenire queste degenerazioni per nulla apprezzabili, che infangano tutto il movimento calcistico mondiale, magari soffocandone le forze virtuose. Queste di certo non mancano, tuttavia rischiano di vedersi preclusa la possibilità di crescita, per causa di qualche individuo facinoroso, schiavo di pulsioni irrazionali e per nulla intenzionato a far progredire lo sport più seguito del pianeta, sulla strada dei giusti valori.

Occorre inoltre focalizzare l’attenzione sulle peculiarità del modo di vivere il calcio che caratterizzano la gente dell’America Latina. Sulla bontà dell’autentica passione e sull’impeto che caratterizzano le tifoserie più calde del pianeta per definizione, non vi è alcun dubbio. Occorre però adottare misure, affinché questo sentire verso il pallone rimanga una genuina e positiva passione, e non sfoci in comportamenti di delinquenza pura, che tradiscono l’autentico spirito sportivo, nonché trasformano grottescamente una “ragione di vita” in una di morte.

La dinamica di quanto accaduto in Perù non può che riportare alla memoria un tragico aneddoto di circa un ventennio fa, risalente ai mondiali di USA ‘94 e relativo proprio all’America Latina. Più precisamente quel nefasto episodio avvenne in Colombia, un Paese che, geograficamente, confina con il Perù. Stiamo parlando della vicenda di Andrés Escobar, un calciatore colombiano “condannato a morte” e ucciso dalla criminalità del suo Paese a causa di una sfortunata autorete da lui realizzata nella partita di girone di quel torneo fra Stati Uniti e Colombia, vinta dagli americani per 2-1 e che sancì la clamorosa eliminazione della Nazionale colombiana da quel Mondiale. Su quella squadra (che Pelé alla vigilia della competizione indicò come una delle squadre favorite di quella Coppa del Mondo) si erano concentrati sostanziosi giri d’affari da parte delle organizzazioni mafiose dedite a traffici illegali e loschi affari d’ogni sorta, che dominavano tragicamente la scena nella Colombia di quell’epoca.