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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTÀIL PALERMO DEL FUTURO DEVE RICOMINCIARE DALLE TRE BANDIERE MICCOLI, MIGLIACCIO E BALZARETTI

di Benvenuto Caminiti Congedo all’agro dolce del Palermo al Barbera: 4-4, il risultato finale, pirotecnico come la successione dei gol: prima in vantaggio di due reti i rosanero, poi i.

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di Benvenuto Caminiti Congedo all’agro dolce del Palermo al Barbera: 4-4, il risultato finale, pirotecnico come la successione dei gol: prima in vantaggio di due reti i rosanero, poi i clivensi, raggiunti sul filo di lana dalla “solita” incursione di Silvestre nell’area avversaria. E la curva Nord che torna quella di una volta e come una volta, giunti al 90’, saluta la sua squadra, alzandosi tutta in piedi e ritmando i cori come se avessimo vinto. Anzi, come se avessimo stravinto. Tanto che Miccoli prende per mano i suoi compagni, primi fra tutti quelli d’antan, Balzaretti e Migliaccio e corre sotto la curva per ringraziare: sembrava una promessa, una promessa solenne; sembrava volesse dir loro: “Resto qui, questa è la mia maglia, nessuno me la può togliere!”. E, subito, ne solleva un lembo, se lo porta vicino alle labbra e lo bacia, una, due, tre volte. E l’applauso, che era già travolgente, diventa irresistibile e io mi intenerisco, vecchio cuore rosanero, che non resiste più a certi richiami, a certi messaggi d’amore, qual è l’attaccamento a una maglia, una cosa rara di questi tempi, roba di uomini veri, quelli che credono ancora a certi principi e per quelli si battono. E certe volte magari sbagliano, trascendono, vanno oltre, e perfino si trasformano e, da personcine ammodo, tranquille e pacate, diventano del tutto simili a belve umane e fanno cose di cui poi, subito dopo, si pentono e per le quali chiedono scusa e perdono. E solo chi ha un sasso al posto del cuore gli nega il suo perdono. Gli altri, tutti gli altri, tutti quelli che vivono col sole in fronte, pronti a pagare di persona se sbagliano; gli altri, dicevamo, invece perdonano. E fanno bene. Perché questo lungo preambolo? Perché, alla fine di tutto; alla fine del campionato peggiore del Palermo dell’era Zamparini io dico che bisogna dimenticare, perdonare e guardare avanti: il passato è passato e non conta più, conta pensare al futuro, a ricominciare da capo, ponendo sin da subito le basi per un Palermo migliore, più compatto, più forte, a cominciare dal settore tecnico-dirigenziale per finire con l’organico-giocatori. E per farlo non si può prescindere da “quei tre”, che sono i soliti: primo tra tutti capitan Miccoli, poi Migliaccio e Balzaretti: sono sempre loro i pilastri del Palermo, le colonne portanti. Farne a meno sarebbe un rischio grosso, perché qui non parliamo solo di tre giocatori ancora forti e vitali, ma di tre autentiche bandiere rosanero. Che sventolano ancora e fanno ancora battere forte il cuore dei tifosi. Si è visto anche ieri, col Chievo di Mimmo Di Carlo, uno che non ci sta a perdere neanche nelle partitelle del giovedì; uno che da giocatore non trascendentale fece una carriera come se invece lo fosse, con tanto di coppa Italia conquistata e semifinale di coppa Uefa con il Vicenza di Guidolin. E ci riuscì perché in campo non si risparmiava mai, ogni pallone sembrava l’ultimo della sua vita, correva dl 1’ al 90’ minuto senza un attimo di tregua, con l’allenatore che gli affidava la mezza punta avversaria, tutta sprint e fantasia e lui l’annullava a furia di mordergli le caviglie, senza mai farlo respirare un attimo, senza mai concedergli un solo metro di spazio. Perché sapeva che quel metro gli sarebbe stato fatele. Ebbene, il suo Chievo è come lui, giocatori di estro e classe pochi, forse nessuno; temperamento, applicazione, dedizione, invece, da vendere. E nel calcio, sono queste ultime che fanno vincere nove volte su dieci le partite. Ebbene, uno com’era lui noi l’abbiamo da anni, è Giulio Migliaccio, un guerriero, uno che, tra sussulti, grida e lamenti vari, lotta su ogni palla perché ogni palla può essere quella buona. Ieri, infatti, lui è “entrato” su tre dei quattro gol del Palermo: il primo, rigore fischiato per una tenaglia a due su di lui che si infilava nell’area piccola; il secondo di Miccoli, rubando una palla a centrocampo e il terzo, spizzicando di testa quel calcio d’angolo di quel tanto da sospingere la palla verso Silvestre, che arrivava come un treno e la schiaffava nel “sette” di Sorrentino, siglando il gol del 4-4. Di Miccoli, cosa dire che non sia stato già detto di questo superbo campione senza età e senza peccato? Lui pare rotondetto e pure stanco, sembra corricchiare per la maggior parte della partita ma appena gli arriva la palla giusta, l’uomo rotondetto, piccolino e pure un po’ logoro (per l’età, per i tanti calci presi prima durante e dopo, per gli infortuni in serie, per i muscoli che si stracciano a comando, per le articolazioni che scricchiolano una volta sì ed un’altra pure) rivendica come un suo diritto sacrosanto - e gli basta un gesto, un colpo al volo come nel suo terzo gol di ieri, o una staffilata di contro balzo come nel secondo - quello di essere soprannominato “il Romario del Salento”. E pure qualcosa di più. Questo lo aggiungo io e forse esagero ma penso di averne il diritto, visto che sono un suo tifoso sfegatato da quasi vent’anni, quando ancora nessuno lo conosceva e lui giocava prima con i ragazzini di una squadretta del Leccese e poi con la prima squadra della Ternana. Ed infine, il terzo dei “ Mohicani”, quel Federico Balzaretti, che ci è mancato per tante settimane, lasciando il vuoto in quella fascia sinistra che era il suo territorio di caccia, lui arrembante con la sua bionda criniera al vento, le sue lunghe leve storte, a sprintare dieci, venti, trenta volte, arrivare sempre sul fondo e dettare cross al centro, tutti buoni per il gol. Quando, a risultato che sembrava ormai compromesso (4-2 per il Chievo) finalmente Mutti lo ha gettato nella mischia, lui si è avventato con furia su ogni palla, scavallando sulla “sua” fascia (“Guai a chi me la tocca!”, pareva che dicesse) e la squadra tutta ne ha ricevuto una spinta poderosa. E sono arrivati i due gol, quello del 3-4 e quello del pareggio.