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PENSIERI E PAROLE IN LIBERTÀ Il nuovo Palermo nel segno di… Zamparini

La rubrica "Pensieri e parole in libertà" a cura del giornalista-tifoso e scrittore Benvenuto Caminiti per Mediagol.it dopo la presentazione in casa Palermo del nuove allenatore Giuseppe.

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La rubrica "Pensieri e parole in libertà" a cura del giornalista-tifoso e scrittore Benvenuto Caminiti per Mediagol.it dopo la presentazione in casa Palermo del nuove allenatore Giuseppe Sannino. di Benvenuto Caminiti Sono stato stamattina alla conferenza stampa di presentazione di Sannino e Perinetti e c’era tanta gente: tutti gli organi di stampa della città, ovviamente e pure qualche … infiltrato. A riprova che l’attesa del “nuovo Palermo” è forte e che tutto l’ambiente non aspetta altro che ritrovarlo forte e gagliardo, come qualche anno fa. Ci aspettavamo tutti che protagonisti sarebbero stati l’allenatore ed il nuovo direttore generale (è questo il ruolo di Perinetti o sbaglio per difetto? O sbaglio per eccesso? Boh!) ed invece, siccome c’era anche il presidente (a proposito, auguri per il suo 71° compleanno!) , conoscendolo, dovevamo capire subito che a dominare la scena sarebbe stato ancora una volta lui. E lo ha fatto con la solita naturalezza, sorriso sulle labbra e parlantina sciolta. “Dopo dieci anni - ha colto tutti di sorpresa - finalmente sono qui a presentarvi un allenatore nuovo!”. E, subito dopo: “Ma che, non l’avete capita l’ironia? Dovreste ringraziarmi, vi ho dato da lavorare per dieci anni, con tutti gli allenatori che ho avuto, ma ora ho investito su Sannino… su Sannino e Perinetti e finalmente mi sento a posto!”. Una sbirciatina panoramica e quindi: “ Ora fatemi qualche domanda, se ne avete e poi ve li lascio!”. Qualche domanda… Altro che, una raffica e tutte – o quasi – già sentite, ma dopo dieci anni si pretende forse di scoprire ancora cose nuove sul presidente e chiedergliene conto e ragione? “Io, Sannino, lo inseguivo da un paio d’anni ed era ancora in serie B e mi son detto: beh, la serie B e una cosa, la serie A un’altra… Vediamo come se la cava in A? E l’ho visto: col suo Siena ci ha subito buttato fuori dalla Coppa Italia. A quel punto non ho avuto più dubbi e ho deciso: Sannino è l’allenatore giusto per il Palermo!”. “Che mi aspetto da lui? Semplicemente che faccia ritornare il Palermo una squadra, una squadra vera, cosa che non è mai stata nella stagione appena finita”. E meno male che aveva fretta! Ma Zamparini è fatto così, si prende la scena sempre. Dovunque e comunque. Non era così quando arrivò nel 2002 dal Venezia, forse era ancora frastornato per tutti i soldi che aveva dovuto tirar fuori per rilevare la società da Sensi o anche perché quando credeva che i debiti erano finiti ne spuntavano degli altri. Ma già si vedeva la tempra del protagonista nato, del primattore. Disse subito che in un paio d’anni, massimo tre, contava di riportare il Palermo in serie A. Disse pure che lui amava il calcio spettacolo, dei tic-toc di certi allenatori à la page non sapeva che farsene e che aveva già l’allenatore giusto per le sue idee di calcio-champagne: era Ezio Glerean, già assunto per il Venezia (poi lasciato per rilevare da Sensi il Palermo) uno che aveva fatto buone cose prima in C e, l’ultimo anno, in B con il Cittadella. Poco altro si sapeva di lui. Di certo si sapeva che era un tipo di allenatore assai particolare, nel senso che il suo “modulo” era così all’avanguardia da sfiorare l’assurdo, il non sense calcistico, perché le sue squadre giocavano con un inedito 3-3-4. Ovvero tre soli difensori, tre soli centrocampisti, tutti con propensione offensiva (!) e quattro attaccanti, due centrali e due esterni. Una bomba esplosiva. Così, almeno, ne parlò in quella sua prima conferenza stampa al Barbera, Zamparini: “Ragazzi - concluse col suo solito piglio dominatore – ci divertiremo e in un paio d’anni vi riporterò in serie A!”. Ma lui non si divertì molto, perché, subito dopo la prima di campionato, il Palermo-bomba di Glerean beccò quattro o cinque gol, e potevano essere pure il doppio, e lui lo licenziò in tronco, senza colpo ferire. E quello fu solo il primo della lunga serie di allenatori esonerati, così lunga da meritargli a pieno titolo la nomea di “mangiallenatori”. Che lui non ha mai digerito ma neanche respinto; se l’è sempre legata al dito, ad ogni esonero, per poi rivendicare il diritto sacrosanto di licenziare il dipendente per scarso rendimento se questo serviva a migliorare il gioco della squadra e, soprattutto, i suoi risultati. Ed in effetti dopo una scelta sbagliata, via un allenatore e dentro un altro, succedeva che quest’altro quasi sempre “aggiustava” una situazione così imbarazzante, da sfiorare l’irrimediabile. Mi sovviene, tra tanti, l’andirivieni di Guidolin, licenziato e richiamato per tre volte di seguito, per non parlare di autentici “ coups de téatre”, come l’esonero di Delio Rossi per Cosmi, a sua volta licenziato dopo solo un mese per richiamare Rossi. O quello di Pioli prima che cominciasse il campionato per sostituirlo con … l’allenatore della primavera rosanero, Devis Mangia, licenziato che la squadra era ancora nella fascia sinistra della classifica, per finire col fiatone al quint’ultimo posto, alla guida di Bortolo Mutti. Sembrano solo isterie da padre-padrone ed invece nessuno può negare che certi suoi interventi, per quanto drastici, ai confini spesso della brutalità, hanno rimesso le cose a posto in un breve lasso di tempo. Penso all’ingaggio di Ballardini, che finì bene il suo campionato, spettacolo e risultati specialmente al Barbera o al ritorno di Delio Rossi che ci fece sfiorare la conquista della coppa Italia. Lui è fatto così, lui ci crede veramente nelle scelte che fa e ci crede nel momento in cui le fa; così che, quando si accorge d’aver preso un granchio, con la stessa frenesia decisionale, fa uno, due passi indietro e si … rimangia tutto: “L’allenatore non era stata la scelta giusta, ma ora rimedio immediatamente perché, se no, rischiamo la serie B!”. Insomma, si è sempre preso le sue responsabilità e in tempi in cui nessuno lo fa, specialmente in una realtà più virtuale che… reale com’è il calcio d’oggi, non è cosa di poco conto. Prendere sempre e da solo le decisioni, anche le più rischiose, per rimediare ad un situazione difficile, è dei leader veri e lui lo è, sempre e comunque, anche quando le sbaglia. Uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà, diceva Sciascia e lui, Zampa, appartiene senz’ombra di dubbi alla prima categoria, che, col passar degli anni io mi accorgo che va diventando numericamente sempre più esigua. Ma ci si era riuniti per conoscere meglio Sannino e Perinetti ed è andata bene, perché i due hanno già capito che quando c’è Zamparini il posto d’onore spetta sempre a lui.